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Macerie lasciate dall'avanzata russa in Ucraina

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«CRONACA di una morte annunciata»: il titolo del famoso romanzo di Gabriel García Márquez si potrebbe oggi parafrasare in “Cronaca di un’invasione annunciata”. E in effetti è impressionante osservare con quanta esattezza gli eventi si sono dipanati rispetto a quel che l’intelligence americana aveva annunciato circa le predatorie intenzioni della Russia sull’Ucraina. Gli Stati Uniti avevano deciso di condividere tous azimuts quel che sapevano e ritenevano così di essere in una situazione win-win. Avevano costretto la Russia a ripetere, un giorno sì e un giorno sì, che non era vero, che non avevano alcuna intenzione di invadere l’Ucraina. Talché, se avessero poi invaso, si sarebbero sbugiardati di fronte al mondo; mentre, se non avessere invaso, gli Usa si sarebbero dati il merito di aver fermato quel dissennato tentativo di ricreare l’Impero sovietico (molti anni fa Putin disse che il dissolvimento dell’impero sovietico era stata la più grande tragedia geopolitica del XX secolo – il che, in un certo senso, era vero).

Messo di fronte a questa poco piacevole alternativa, Putin ha scelto il mare minore: cioè quello di invadere e sbugiardarsi, avendo cura di metter su una campagna di disinformazione, violentando la storia (l’Ucraina non è una nazione) e inventando bieche mire del governo ucraino.

Certamente, uno dei due win di cui sopra (invadere e sbugiardarsi) non era affatto un win per chi avesse perso la vita – e oggi sono già molti – in questa invasione annunciata (col che torniamo alla «Cronaca di una morte annunciata»). Come ha scritto Ugo Tramballi su “Il Sole 24 Ore”, il discorso di Putin «alla nazione e al mondo è una conferma plastica di quanto sia uno statista antiquato. Questo non lo rende meno pericoloso. Al contrario: la sua visione strategica e gli obiettivi da XIX secolo ne fanno un leader molto più pericoloso».

In un’ottica di più lungo periodo, chi ha vinto e chi ha perso? O, per meglio dire, chi ha perso di più e chi ha perso di meno, ché nessuno ha guadagnato in questo straziante episodio. Le cronache di questi giorni sono piene di inquietanti percentuali su quanti minerali, quanto grano, quanto… Russia ed Ucraina forniscono al resto del mondo in generale e all’Europa in particolare. Quindi, se rubinetti si chiudono e bastimenti carichi di… non partono, l’Europa è al freddo e alla fame.

Non bisogna però dimenticare che ogni transazione ha un compratore e un venditore; e se questa transazione non ha luogo ambedue soffrono. L’Europa ha bisogno del gas russo, ma il gas russo ha bisogno dell’Europa. Guardiamo, per esempio, all’andamento di quei termometri del benessere (o malessere) economico che sono i mercati azionari. Se dovessimo giudicare chi ha perso di più dalle sciagurate avventure putiniane, non ci sarebbe dubbio. Dall’inizio del mese la Borsa di Mosca ha perso molto più delle altre, con andamenti degni delle montagne, appunto, russe. E il cambio del rublo ha perso, sempre dall’inizio del mese, il 10% circa, andando a rinfocolare un’inflazione che già viaggiava a gennaio, per il tasso annuale, all’8,7%. I russi si possono consolare col fatto che, dati gli alti prezzi di gas e petrolio e la svalutazione della moneta, avranno più rubli da quello che esportano. Ma, appunto, devono esportare…

Forse Putin non si cura molto di rublo e Borsa, preso com’è da imperiosi sogni di imperiale grandezza. Ma il popolo russo si preoccuperà della borsa della spesa e Putin dovrà anche fare i conti col malcontento interno, dopo aver distrutto la reputazione esterna. Se guardiamo più in là nel tempo, non c’è dubbio che il mondo va verso l’abbandono dei combustibili fossili, che costituiscono la spina dorsale dell’export russo. Certo, ci vorrà molto tempo per questa transizione energetica, ma intanto la Russia ha stracciato l’immagine di partner affidabile. Si parla della possibilità, per la Russia, di aumentare il suo potere contrattuale con l’Europa, vendendo più gas alla Cina. Ma, per ragioni tecniche legate agli approvvigionamenti via condotti siberiani (che non sono collegati con quelli che vanno all’Europa), questo non è possibile oggi. Potrà essere possibile in futuro, dato che quel collegamento è previsto, ma potrebbe essere troppo tardi, dato che allora l’Europa si sarà attrezzata per importare più gas (GNL, dall’immenso Campo Nord del Qatar, in via di approntamento) e per risparmiare sull’uso del gas stesso.

Purtroppo, nel brevissimo periodo, la sostituzione del gas russo con altre provenienze è possibile solo in minima parte. Il mercato del gas naturale, a ogni dato momento, è un gioco a somma zero: se va più gas da una parte, va meno dall’altra. Non c’è capacità inutilizzata, specialmente adesso che, dato l’aumento dei prezzi negli ultimi mesi, i produttori hanno avuto tutti gli incentivi possibili ad aumentare la produzione. La prima reazione dei prezzi del petrolio e del gas è stata forte, perché, comprensibilmente, i mercati hanno guardato agli esiti peggiori e i compratori hanno voluto fare scorte per premunirsi. Ed è normale che ci sia stata qualche marcia indietro. Il grafico mostra l’esposizione dei vari Paesi europei al gas russo, con Germania e Italia al 49% e al 46% rispettivamente.

Non c’è molto da fare nell’immediato, se non, forse, spingere sui risparmi energetici. Siamo nell’occhio del ciclone e molto dipende da quanto succede su quello che ormai dobbiamo purtroppo chiamare il teatro di guerra, da una parte, e l’andamento delle sanzioni dall’altra. Ma la triste realtà è che c’è di nuovo una guerra in Europa. Dietro il fondamentale lavoro in corso della costruzione europea – Mercato comune, Unione europea… – c’era il fervido auspicio dei padri fondatori: ‘mai più guerre in Europa’, un continente che usciva allora insanguinato da due guerre mondiali. E, per i Paesi della Ue, l’auspicio si era trasformato in realtà. Ma l’Europa arriva fino agli Urali, e si erano fatti i conti senza Putin…


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