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Ogni anno lo Stato sborsa oltre 40 milioni di euro per risarcire chi è stato in carcere da innocente. Nel 2017 gli indennizzi sono stati 1.023, l’anno successivo 913, altri 1.020 nel 2019. Quasi tremila errori giudiziari ed episodi di ingiusta detenzione riconosciuti dalle Corti di appello in tre anni.

È quanto rileva la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti nella relazione su «Equa riparazione per ingiusta detenzione ed errori giudiziari».

 «Nel triennio 2017-2019 – sottolineano i magistrati – è stato rilevato un progressivo aumento della spesa pubblica, in termini di impegni di competenza, per i casi di errori giudiziari/ingiusta detenzione». Nel 2020 si è registrata una lieve diminuzione, ma bisogna prendere il dato con le pinze perché trattandosi dell’anno della pandemia Covid molti procedimenti potrebbero essere stati rallentati. Nel dettaglio, mentre nel 2019 (48.799.858,00 euro) la spesa era risultata aumentata più del 27% rispetto al 2017 (38.287.339,83 euro), nel 2020 l’importo complessivo (43.920.318,91 euro) è risultato superiore a quello del 2017 ma inferiore a quelli del 2018 e 2019. Ma parliamo sempre di somme importanti, oltre i 40 milioni, e circa mille errori in media. Nel 2019, sono stati emessi più provvedimenti di risarcimento dalle Corti di appello di Napoli (129), Reggio Calabria (120), Roma (105), Catanzaro (83) e Bari (78).

L’indennizzo «rappresenta il riconoscimento, a livello normativo, del principio di civiltà giuridica e di attuazione dei valori di un ordinamento democratico in virtù del quale chi sia stato privato ingiustamente della libertà personale ha diritto ad una congrua riparazione per i danni materiali e morali patiti», si legge nel report della Corte dei Conti. Dal punto di vista procedimentale, l’articolo 315 del Codice di procedura penale richiede che la domanda di riparazione venga proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato.

Dall’indagine, sviluppata dalla Sezione del controllo esaminando un campione di ordinanze irrevocabili, è emersa, tuttavia, «una difforme applicazione dei criteri di liquidazione di tali ristori da parte delle Corti d’appello».

«Questo – scrivono i giudici – suggerisce l’opportunità di un monitoraggio del ministero della Giustizia per l’acquisizione dei provvedimenti giudiziari per i quali si potrebbero prefigurare indennizzi». Attualmente – osserva la magistratura contabile – né la normativa speciale, né il codice di procedura penale, prevedono norme di coordinamento tra la disciplina dell’indennizzo per ingiusta detenzione e quella relativa al «risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati», che, «se introdotte, impedirebbero il possibile cumulo delle azioni da cui potrebbe conseguire una duplicazione della spesa per indennizzo e risarcimento del danno», sostiene la Corte dei Conti.

«Poiché anche in ambito europeo – proseguono i magistrati contabili – sussiste un disallineamento delle tutele previste dai vari Stati per i ristori economici a fronte delle ingiuste detenzioni, la Corte ritiene auspicabile l’attivazione di iniziative dirette alla tendenziale equiparazione dei criteri della loro quantificazione, in considerazione dei riflessi finanziari della sempre più frequente circolazione dei provvedimenti giudiziari nell’ambito dell’Unione europea».

La giustizia italiana, insomma, si rivela fallibile, ogni anno sono numerosi i casi di errori giudiziari che causano anche la detenzione ingiusta, a volte anche per anni. Alcune volte la custodia cautelare dura mesi, momenti vita strappati a qualcuno che poi il Tribunale stesso dichiara innocente. La legge italiana prevede, però, un risarcimento per ingiusta detenzione. È la stessa Costituzione italiana ad affermare che la legge deve determinare le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. Certo nessuno potrà mai restituire anni di vita persi e il marchio che una detenzione può stampare a vita su una persona però il procedimento esiste e costa ogni anno allo Stato oltre 40 milioni di euro.

Non mancano i rilievi della Corte dei Conti sulle procedure: «E’ opportuno – si legge – che il ministero della Giustizia, per il futuro, possa conoscere e governare il relativo fenomeno sotto ogni aspetto per consentire allo stesso di svolgere anche le funzioni di ordinatore primario di spesa relativamente al pagamento degli indennizzi, ad oggi intestate al ministero dell’Economia e finanze».

Non solo: i giudici raccomandano «che l’attività di monitoraggio, attualmente svolta in materia dall’Ispettorato generale, ricomprenda anche la ricognizione delle domande di riparazione rigettate per le quali è stato presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché l’acquisizione delle informazioni relative ai soggetti che durante l’ingiusta detenzione abbiano contratto patologie dipendenti dalla medesima causa, in quanto, anche a livello statistico, questi aspetti oggi sono sconosciuti. Quest’ultimo aspetto è rilevante per apprezzare il costo complessivo sostenuto dallo Stato anche per i costi indiretti che ne sono conseguiti e che hanno gravato sul sistema sanitario nazionale».


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