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Per il mitico capitano Achab intravvedere il faro e la terra ferma durante una tempesta poteva voler dire la salvezza, un ancoraggio sicuro ma anche l’insidia, il rischio di naufragare contro gli scogli. Senza scomodare Melville, si potrebbe dire che i due sentimenti così contrastanti accompagnano la gestione del piano nazionale di ripresa e resilienza messo a punto dal nostro governo per rilanciare i porti italiani. Il programma che comprende la cosiddetta seconda componente, l’«intermodalità e logistica integrata».

Vuol dire: rammodernare, digitalizzare gli scali portuali, metterli in condizione di competere dotandoli di infrastrutture. Rinnovare le flotte portuali e i mezzi di terra, sviluppare la navigazione fluviale.

Ebbene, tanto per non smentirsi, e con buona pace del capitano Achab, il Sud rischia di rimanere incagliato nel suo passato. La parte del leone nella gestione del Recovery fund la faranno i porti di Genova e di Trieste, ai quali andranno gran parte dei circa 3 miliardi destinati al rivernissage. Di Gioia Tauro, Napoli, Taranto e Ancona nel documento presentato dall’esecutivo si parla poco. Molto poco. Gli incentivi al rinnovo delle flotte e del parco veicolare sono stati eliminati.

E a tutt’oggi, con il testo all’esame del consiglio dei ministri, il timore è che nonostante la collocazione nel cuore del Mediterraneo, i porti del Mezzogiorno debbano accontentarsi delle briciole. Una storia che si ripete.

FINANZIAMENTI A TRIESTE GESTITO DAI TEDESCHI

Di sicuro si sa che per lo sviluppo del porto di Genova è stato stanziato circa mezzo miliardo. Servirà a realizzare una nuova diga forarnea. Verranno innalzate le protezioni dei bacini interni per garantire adeguati livelli di sicurezza nelle manovre e consentito in questo modo l’Accesso anche alle navi di ultima generazione.

Poco meno di 400 milioni di euro saranno destinati al porto di Trieste per il potenziamento della piattaforma logistica. In particolare, a seguito dell’accordo stipulato con la tedesca Hamburgen Hafen und Logistik, una corazzata della logistica portuale che conta 6 mila dipendenti e movimenta 7,5 milioni di container, si punterà a sviluppare i collegamenti retro portuali. Si investirà, insomma, in una piattaforma controllata anche da una società pubblica tedesca.

E il Sud? Ce lo siamo dimenticato? Se ne parla poco. Per l’ultimo miglio ferroviario e stradale di Napoli e Salerno, per l’adeguamento determinato dai cambiamenti climatici nei porti di Palermo e Catania, per l’accessibilità marittima agli imbarchi di Civitavecchia e Taranto.

Ma la torta destinata ai cosiddetti “altri progetti”, comprensivi della navigazione fluviale, ammonta in totale a 720 milioni di euro. E qualche fetta andrà anche al porto di Venezia e a Ravenna per aumentare il trasporto merci lungo le sacre rive del fiume Po tanto care al Carroccio.

A proposito di leghisti. Sembrerà strano ma l’unico a perorare in modo tangibile la causa del porto di Gioia Tauro è stato di recente l’eurodeputato Vincenzo Sofo che ha presentato un’ interrogazione alla Commissione europea riguardo la gestione e la fiscalità dei porti italiani e in particolare le specificità quelli del Sud ai quali viene imposto un regime di tassazione penalizzante, assoggettandoli alle imprese private.

Un criterio che se adottato potrebbe portare all’esclusione dai canali di finanziamento del Next Generation EU. Va da sé che lasciare indietro proprio quei porti che si affacciano nel cuore del Mediterraneo vorrebbe dire dare via libera alla concorrenza aggressiva che viene anche dal Nord Africa e potenzialmente della Cina.

L’ALLARME DI BELLANOVA

La ministra Teresa Bellanova, sempre più sul piede di guerra, lancia l’allarme: «Il Mezzogiorno deve essere al centro delle politiche espansive disegnate dal Recovery Plan. Ecco perché continuiamo a dire che il Mes è essenziale. Lo è per la qualità del sistema sanitario nel nostro Paese, in modo ancora più evidente e indiscutibile al Sud e lo è perché, a quel punto, si libererebbero risorse con le quali intervenire in modo rilevante e significativo nel Mezzogiorno. Che ha bisogno di nuova qualità territoriale, nuove politiche industriali nuovo welfare, una grande azione per il rinnovamento della pubblica amministrazione, una vera strategia integrata per nuova occupazione, e un rilancio che passa, necessariamente, dalla strategicità della filiera agroalimentare». 

Per poi aggiungere: «Mentre a proposito dello sviluppo portuale chiedo: qual è il destino di Gioia Tauro, quale quello di Taranto?  E dico: attenzione, il Mezzogiorno è nodale anche in relazione a uno dei temi, clima e Mediterraneo, indicati nei rilievi consegnati il 30 dicembre e è di assoluto rilievo».

LA VISIONE CHE NON C’È

A prescindere dall’effetto balsamico che potrà arrivare dai fondi europei, resta l’obiettivo di potenziare le Zes, le zone economiche speciali, vicino alle e aree portuali del Sud. Che vuol dire semplificazione amministrativa, legislazione economica agevolata, incentivi. Ci sarebbero poi i 270 milioni di euro destinati agli interventi di sostenibilità ambientale dei Green Ports, soggetto attuatore il ministero dell’Ambiente.

Peccato che il progetto di concentra nei porti del Centro Nord non finanziati dal Pon, Mar Ligure Occidentale, Mar Ligure Orientale, Mar Tirreno Centro settentrionale, Mar Adriatico Orientale e Settentrionale. E il Mezzogiorno? Non pervenuto.


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