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Enrico Giovannini

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Il ministro Giovannini: abbiamo un disperato bisogno di essere rapidi, entro il 30 aprile un nuovo elenco di opere da realizzare subito

Fino a quando, con una frequenza sistematica, attraverso i miei blog o articoli su questo quotidiano denunciavo la irresponsabile stasi nel governo del Paese da parte dei Ministri che si sono succeduti dal 2015 ad oggi nel comparto delle infrastrutture, dello sviluppo economico e del Mezzogiorno, tutto, giustamente, rimaneva all’interno dello sfogo mediatico di chi, leggendo in modo oggettivo il susseguirsi delle dichiarazioni e degli annunci, ribadiva, senza ottenere riscontro, l’assurda prolungata stasi nell’attuazione delle infrastrutture, l’assurda sottovalutazione delle emergenze in alcuni particolari ambiti industriali, la preoccupante sottovalutazione della storica emergenza del “Mezzogiorno”.

Questa volta è il nuovo Ministro per i trasporti e le infrastrutture sostenibili Enrico Giovannini a dichiarare “Abbiamo un disperato bisogno di essere rapidi e sarà quanto prima varato un nuovo decreto entro il 30 aprile con una ulteriore lista di opere immediatamente cantierabili discussa e concordata con le Regioni. Nel frattempo la lista attuale deve avere il via libera perché si tratta di un provvedimento che deve stimolare una ripresa economica robusta ed efficace in termini occupazionali. Non si può rinviare alle calende greche, da domattina dobbiamo iniziare a lavorare per risolvere i problemi emersi. Stiamo discutendo di 58 opere particolarmente significative, per un importo complessivo di circa 70 miliardi di euro, 22 miliardi di euro per opere al Nord, 18 miliardi di euro al Centro e 27 miliardi di euro al Sud”.

In realtà il Ministro Giovannini finalmente scopre il dramma della prolungata ed incomprensibile stasi e avverto il Ministro che la causa e la responsabilità non è della burocrazia, non è della tipica lungaggine procedurale e del più volte invocato contenzioso da parte dei partecipanti alle gare; purtroppo no! La responsabilità è da addebitare solo a chi, dal 2015, nelle varie annualità ha gestito il comparto delle infrastrutture.

Questa volta, ripeto, non saranno le mie denunce a raccontare il passato ma sarà sufficiente una normale analisi che sicuramente il Ministro effettuerà per evitare che si ripetano quelle negatività comportamentali che hanno, purtroppo, distrutto l’intero comparto delle costruzioni, in proposito riporto sempre un dato: 120.000 imprese fallite e 600.000 posti lavoro del comparto edile persi.

La nostra memoria, sì quella degli italiani, è corta e ci siamo già dimenticati che nel 2015 il Ministro Delrio volle effettuare una riverifica di tutte le progettualità del Programma delle Infrastrutture Strategiche supportato dalla Legge 443/2001 (Legge Obiettivo) e di tutte le opere già avviate negli anni precedenti; in fondo il Ministro Delrio fece ricorso al cosiddetto “project review” e in questa operazione incaricò il Professor Marco Ponti perché effettuasse su tali opere l’analisi costi benefici. Tutte le opere già definite ed avviate a realizzazione furono così praticamente bloccate.

Questa operazione in modo epidemico ci portò all’azzeramento di opere già cantierate come il Terzo Valico dei Giovi sull’asse ferroviario AV/AC Milano – Genova, come l’asse ferroviario AV/AC Verona – Vicenza – Padova, il nodo ferroviario dell’Alta Velocità di Firenze ecc. Ma il Professor Ponti con il supporto del Movimento 5 Stelle denunciò la inutilità della realizzazione del nuovo tunnel ferroviario Torino – Lione e convinse il Presidente del Consiglio Conte e i Ministri Di Maio e Salvini sulla necessità di bloccare l’opera.

Tutti abbiamo, solo tre anni, fa assistito alla elencazione di falsità raccontate dal Movimento 5 Stelle attraverso i vari canali mediatici, tutti abbiamo appreso dal Ministro Toninelli che il Governo francese condivideva la nostra linea strategica di blocco dell’opera, tutti abbiamo appreso, sempre da organi di Governo, che non c’era alcun cantiere aperto e che la Unione Europea non aveva erogato alcun contributo per realizzare un simile intervento.

Poi scoprimmo che tutto questo non era vero e quindi il blocco procedurale di oltre un anno è stato solo un danno al Paese ed all’Europa.

Analoga rivisitazione di simili comportamenti avvenne per le opere bloccate dall’analisi costi benefici; per sbloccarle e quindi per riattivare i lavori intervenne l’Avvocatura dello Stato che dimostrò che un simile comportamento avrebbe prodotto un contenzioso nei confronti dello Stato sicuramente indifendibile in quanto trattavasi di interventi già avviati e, tra l’altro, la analisi costi benefici prodotta andava attentamente analizzata.

Rimanendo sempre nel campo delle infrastrutture non possiamo non ricordare l’altro contributo al “non fare” fornito dalla Ministra Paola De Micheli; appena insediata assicurò che entro il 2019 avrebbe varato il Nuovo Regolamento Appalti; purtroppo il Regolamento è stato consegnato al Ministro solo il 24 luglio del 2020 ed è rimasto un utile documento cartaceo; sempre la Ministra De Micheli ha predisposto un elenco di opere ritenute fondamentali del valore globale di circa 200 miliardi di euro assicurando una disponibilità di circa 130 miliardi e quindi di una esigenza di soli 70 miliardi; anche in questo caso l’elenco fu inoltrato alla Presidenza del Consiglio ma lì rimase come documento cartaceo con l’unico chiarimento che i 130 miliardi di euro non erano affatto disponibili ma solo parzialmente indicati nei Contratti di Programma dell’ANAS o delle Ferrovie.

Potrei continuare ma l’unico indicatore che il Ministro Giovannini penso abbia potuto appurare è solo quello che dal 2015 ad oggi per il comparto delle infrastrutture strategiche la spesa non ha superato i 5 – 6 miliardi di euro.

Ma il Ministro Giovannini avrà anche modo di leggere in questa triste eredità un grande vuoto per le azioni strategiche nel Mezzogiorno; mi riferisco alla spesa limitata delle risorse del Fondo di Coesione e Sviluppo: su circa 54 miliardi disponibili dal 2014 ad oggi sono stati impegnati solo 24 miliardi e spesi, davvero, appena 7 miliardi ed ora grazie ad un atto di bontà della Unione Europea dovremmo spendere i restanti 30 miliardi ancora non impegnati entro il 31 dicembre del 2023.

La colpa di questo blocco non è solo delle Regioni ma anche e soprattutto del Governo in quanto tali interventi sono inseriti anche nei Programmi Operativi Nazionali (PON). Ma sempre effettuando quello che nel 2014 era stato approvato dal CIPE e pronto per essere cantierato e quello che invece si è fatto scopriamo, sempre nel Mezzogiorno, un dato davvero preoccupante: su circa 26 miliardi di progetti approvati solo 5 miliardi sono relativi ad interventi concretamente attivati.

Quindi questa reazione del Ministro non solo è condivisibile ma non è più frutto di una critica di parte ma ormai è una presa d’atto della ripetuta incapacità dei Governi che si sono succeduti dal 2015 in poi a rendere possibile l’attuazione di un programma di infrastrutture voluto dal Parlamento.

Analogo sconcerto per la prolungata assenza di azioni del Governo lo proveranno la Ministra Carfagna ed il Ministro Giorgetti.

La Ministra Carfagna oltre ad appurare il vuoto di infrastrutture in corso di realizzazione nel Sud, oltre ad apprendere che la Commissione istituita dalla Ministra De Micheli per decidere il da farsi sul collegamento stabile tra la Sicilia ed il continente, una Commissione che doveva finire i propri lavori entro il 15 ottobre del 2020, allo stato non ha fornito alcun risultato, oltre ad apprendere che le Zone Economiche Speciali (ZES) si sono rivelate un completo fallimento, oltre a prendere atto che il “Piano del Sud 2030”, presentato dall’allora Ministro Provenzano a Gioia Tauro nel febbraio del 2020, è rimasto un interessante documento utile per supportare convegni e dibattiti, dovrà purtroppo scoprire che la tanto propagandata iniziativa relativa alla “decontribuzione”, cioè dello sgravio contributivo per le aziende del Sud finalizzato a sostenere la occupazione, può valere solo per un anno e non, come posto nella Legge di Stabilità 2021, fino al 2029 perché la Unione Europea finora non ha dato il via libera.

Il Ministro Giorgetti, invece, oltre ai 150 tavoli aperti presso il suo Dicastero per il superamento di crisi tragiche di alcune industrie, crisi di realtà imprenditoriali del Sud, dovrà affrontare delle emergenze che in questi sei anni, ripeto sei anni sono state gestite male o ancora peggio non sono state gestite affatto. Ultimamente mi sono soffermato su due casi:

• l’area industriale di Termini Imerese dove circa dieci anni fa la Fiat dopo aver gestito per oltre trenta anni un impianto realizzato integralmente con risorse pubbliche è andata via e da quel momento c’è stata una sistematica rincorsa ad offrire l’area a vari imprenditori che di volta in volta avevano prospettato ipotesi industriali capaci di mantenere i livelli occupazionali.

• l’altro caso è quello relativo al centro siderurgico di Taranto: ormai Arcelor Mittal, giorno dopo giorno, sta chiudendo impianti del centro siderurgico; da diverso tempo si doveva concludere il confronto tra la Società ed il Ministro dello Sviluppo Economico, da tempo la Società doveva fornire un nuovo Piano Economico e Finanziario e da tempo si doveva fornire chiarezza sul reale numero di esuberi. Molti sono convinti, e tra questi ci sono anche io, che Arcelor Mittal fra qualche mese pagherà una penalty e andrà via. Spesso dimentichiamo che con la uscita di Arcelor Mittal abbiamo compromesso una certezza occupazionale di medio periodo per circa 25.000 unità lavorative (tra dirette ed indirette), abbiamo creato cioè un danno alla economia dell’intero ambito ionico – salentino di circa 12 – 14 miliardi di euro. Un danno questo che si ripercuote nell’intero Mezzogiorno e, in modo epidemico genera un fenomeno migratorio verso altre aree del Paese.

Questo triste bilancio di sei anni di Governo questa volta non lo faccio io, non lo fa chi ha in più occasioni ribadito la schizofrenia di Governi che hanno sempre in questi sei anni dimenticato la concretezza delle azioni, hanno annullato del tutto il ricorso ad assegnazioni in conto capitale ed hanno preferito il ricorso ad assegnazioni in conto esercizio, cioè al puro assistenzialismo, hanno cioè perso la caratteristica di base di chi è preposto alla gestione della cosa pubblica e cioè: la coscienza dello Stato.

Questo triste ed oggettivo bilancio lo sta, giorno dopo giorno, facendo il Presidente Draghi e con lui quei Ministri che, come detto prima, stanno prendendo atto di questa lunga ed incosciente fase del “non fare”.


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