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Un intervento su una condotta della rete idrica

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Il solito proverbio cinese – “Se volete creare ricchezza, costruite una strada” – si potrebbe declinare in tanti altri modi; per esempio: “Se volete creare ricchezza, costruite una rete idrica”, oppure “Se volete creare ricchezza, costruite una rete elettrica”, oppure ancora: “Se volete creare ricchezza, costruite una rete di telecomunicazioni”.

Insomma, se volete un’economia che funzioni non basta lastricare una strada per andare da A a B, ma bisogna anche portare l’acqua, la corrente elettrica e le informazioni da A a B. Il dualismo italiano – cioè la differenza, antica, duratura e profonda nei livelli di reddito e di benessere fra il Mezzogiorno e il resto d’Italia – ha molte dimensioni.

E, per quanto riguarda la dimensione cruciale del divario infrastrutturale, questa è stata analizzata nel più volte citato (8, 11 e 13 agosto) studio della Banca d’Italia sui divari territoriali («I divari infrastrutturali in Italia: una misurazione caso per caso», di Mauro Bucci, Elena Gennari, Giorgio Ivaldi, Giovanna Messina e Luca Moller, nella collana «Questioni di Economia e Finanza»).

Pescando nei tanti divari meritoriamente esaminati in quello studio, oggi andiamo a guardare a due reti essenziali: la rete elettrica e la rete idrica. Dato che senza elettricità si può vivere, ma senza acqua si muore, guardiamo dapprima a quest’ultima, la rete idrica.

Nell’illustrazione il primo pannello ci dà un’idea delle perdite, cioè a dire di quanta acqua si perde a causa della scarsa qualità (buchi, porosità, vetustà…) degli acquedotti e delle tubazioni: misura, insomma, la quota di acqua immessa nelle reti di distribuzione che viene effettivamente erogata. Le maggiori perdite idriche si registrano nei territori di Frosinone e Latina e in molte province del Sud e delle isole: guardando alle provincie campane, siciliane e sarde la quota di acqua che è messa a disposizione degli utenti è inferiore al 50 per cento; insomma, per ogni litro di acqua immessa nella distribuzione, ne arriva a famiglie e imprese meno di mezzo litro… Il problema è molto più acuto al Sud, ma riguarda tutta l’Italia.

Uno studio del 2017 della Cassa Depositi e Prestiti stima che la vita utile media delle condotte di adduzione e distribuzione dell’acqua sia di circa 40 anni; e la triste realtà ci dice che oltre la metà della rete presente sul territorio è vicina o ha superato questo limite.

Il secondo pannello guarda al fenomeno del razionamento dell’acqua. Come recita il contributo della Banca d’Italia, «Le cattive condizioni delle infrastrutture idriche rendono alcune realtà più esposte a fenomeni di razionamento dell’acqua per uso domestico. Tali episodi sono pressoché interamente concentrati in alcune province del Sud e insulari … in alcuni capoluoghi (Catanzaro, Palermo, Enna e Sassari) il razionamento idrico non è limitato ai periodi estivi ma interessa, per alcune ore al giorno, l’intero arco dell’anno».

La filiera dell’acqua ha anche un’altra dimensione: la raccolta delle acque reflue e le attività di depurazione. Il divario infrastrutturale delle regioni meridionali e insulari è confermato anche sotto questo aspetto: «Vi sono circa 40 Comuni tuttora sprovvisti di servizio di raccolta delle acque reflue (poiché la rete fognaria non è presente o non è collegata a un depuratore), di cui oltre la metà localizzati in Sicilia; nelle aree meridionali inoltre si verificano con maggiore frequenza episodi di allagamento, sversamento e rottura delle fognature e la qualità delle acque depurate è sensibilmente peggiore della media italiana (ARERA, 2020)» Non c’è bisogno di dire che questa situazione comporta «inadempienze alla disciplina europea sulle acque reflue, per le quali sono attualmente in corso quattro procedure di infrazione a carico del nostro Paese».

Dopo questo sconsolato excursus sulla minorità idrica del Mezzogiorno, guardiamo ora a quella rete elettrica che traccia le nervature del gran corpaccio dell’economia italiana. Il secondo grafico/mappa riporta, secondo i dati dell’ARERA (l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente ), la qualità del servizio per le famiglie: segnatamente, il numero medio, per utente, di interruzioni senza preavviso (sommando transitorie – inferiori a un secondo, brevi – da un secondo a tre minuti, o lunghe – superiori ai tre minuti).

Valori più bassi dell’indice (riferito al 2018) segnalano un servizio migliore. E la colorazione mostra graficamente come la qualità del servizio peggiori man mano che si passi a latitudini più meridionali. Il secondo pannello è un’altra rappresentazione della qualità del servizio fornito dalla rete elettrica, questa volta riferito alle imprese, utenti della rete a media tensione. Per questa seconda tipologia di utenze, l’ARERA prevede uno standard di continuità del servizio (ossia una soglia massima di interruzioni per singolo utente); e l’indicatore di quel pannello «è calcolato come la quota di utenze per le quali il numero di interruzioni rispetta gli standard stabiliti dall’ARERA, ovvero subisce un numero di interruzioni inferiore alla soglia massima prevista».

Anche qui, come si vede, gli utenti del Mezzogiorno sono pesantemente penalizzati. «Le province meglio servite», continua il rapporto della Banca d’Italia, «sono quelle collocate nella fascia alpina del Trentino Alto-Adige e della Lombardia (favorite dalla prossimità agli impianti di produzione), nonché quelle dell’area padana.

Le interruzioni della fornitura appaiono invece particolarmente frequenti nelle aree appenniniche interne dell’Italia centrale e soprattutto nelle regioni meridionali e in quelle insulari: in queste ultime la frequenza annua dei distacchi per ogni utente a bassa tensione è pari a 14,3 (contro 5,1 nelle regioni centro-settentrionali) e un terzo degli utenti a media tensione riceve un servizio inferiore agli standard di continuità stabiliti dall’ARERA (a fronte di solo il 7 per cento nelle regioni centro-settentrionali)».

Anche i dati riguardanti la durata complessiva delle interruzioni senza preavviso confermano il divario: «questi ammontano a oltre 60 minuti l’anno per utente nella media delle province del Sud e delle Isole (con punte di oltre 90 minuti in Sicilia), a fronte di circa 30 nelle regioni settentrionali (con valori minimi di 20 in Valle d’Aosta)». E non solo: «Anche i buchi di tensione si verificano con una frequenza significativamente maggiore nelle regioni meridionali e insulari». Nel 2019 questi buchi di tensione si sono verificati 109 volte per singolo nodo nelle regioni meridionali continentali e ben 130 in Sicilia. Nelle regioni settentrionali sono stati 23, e sono stati 30 in quelle centrali.


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