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FORSE ci stiamo avviando, dopo quasi 20 anni dalla inaugurazione della prima tratta ferroviaria AV/AC Roma – Napoli, verso una reinvenzione della offerta ferroviaria ad alta velocità. Ci stiamo in realtà convincendo che l’asse vincente, la offerta vincente per cui in fondo hanno trovato giustificazione gli assi AV/AV Milano – Roma – Salerno e Torino – Milano – Venezia si sta articolando in otto distinti segmenti che si configurano come veri collegamenti bipolari; mi riferisco alle tratte Torino – Milano, Milano – Verona, Verona – Padova – Venezia, Milano – Genova. Milano – Bologna. Bologna – Firenze, Firenze – Roma, Roma – Napoli – Salerno.

Non più assi caratterizzati da una percorrenza molto lunga ma quasi comparabili con una offerta metropolitana caratterizzata da un tempo variabile tra trenta primi a sessanta primi. Poi si aggiungerà anche il collegamento Napoli – Bari e passeremo da otto tratte a nove tratte e saremo costretti anche a rivedere le tracce che la Società RFI riterrà opportuno dare a Trenitalia, a Italo e nei prossimi anni a nuove Società. Ma questo cambiamento funzionale produrrà automaticamente un cambiamento nella gestione dei servizi di trasporto nelle grandi aree urbane.

Negli anni ’90, proprio all’avvio dell’Alta Velocità qualcuno di noi ipotizzò la nuova offerta ferroviaria come una offerta metropolitana a scala nazionale. Era la nostra solo una ipotesi avveniristica perché in realtà eravamo convinti che abbattere con la velocità i tempi di percorrenza tra Roma e Milano e tra Roma e Napoli da solo significava reinventare una funzione, quella di una rete ferroviaria davvero vincente sulla offerta stradale.

In questo cambiamento prese corpo anche la modifica del materiale rotabile; in fondo passammo dai vagoni del “primo novecento” a tipologie simili ad aeromobili; prese corpo anche una rivisitazione funzionale delle stazioni: presero corpo cioè le nuove stazioni di Bologna, di Reggio Emilia e di Napoli Afragola, la rivisitazione di Termini e di Tiburtina a Roma e di quella di Milano centrale e si avviò la progettazione della stazione passante di Firenze. Mai in questa operazione di restyling o di completa ricostruzione di nuove stazioni, mai ripeto, erano state coinvolte tante archistar come Renzo Piano, Calatrava, Fuksas, Bofill, Foster, Desideri, ecc…

Oggi questo processo di cambiamento sostanziale sicuramente continuerà e, a mio avviso, supererà i confini della rete ferroviaria ed entrerà direttamente nella gestione della offerta di trasporto nelle grandi aree metropolitane. Trenitalia, Italo ed altre Società aggiungeranno alla gestione interna alle reti ferroviarie anche quella legata alla offerta delle reti metropolitane e dei servizi su gomma.

Questa continuità nella gestione della mobilità non toglie assolutamente la eccellenza tecnologica della offerta ferroviaria ad alta velocità ma, addirittura, fa crescere una serie di servizi che attualmente la utenza non riceve perché eccessivamente costosi. In realtà prenderà corpo quello che da sempre è stato un obiettivo mai raggiunto: una sistematica interazione porta a porta. Si sale su una metropolitana per passare su un treno per ritornare su una offerta su gomma e raggiungere così la fine del proprio itinerario.

Questo disegno in prima fase si appoggerà sul tessuto urbanistico storico e cercherà in tutti i modi di servirlo anche ottimizzando sia le attuali reti, sia gli attuali nodi di interscambio, sia gli attuali mezzi di trasporto; poi, anno dopo anno, assisteremo ad una capillare reinvenzione dell’impianto urbanistico delle realtà urbane. Sarà allora che capiremo ciò che per anni abbiamo posto come obiettivo portante per la rigenerazione urbana e cioè il recupero delle periferie, un obiettivo sempre denunciato e mai attuato.

Invece una offerta integrata tra aree urbane grandi, proprio attraverso le reti legate alla lunga percorrenza e quelle tipicamente urbane, annulla, automaticamente, le differenze tra ambiti urbani in quanto il fruitore di una città si sente collegato direttamente con una rete che non ha limiti e funzioni all’interno di un quartiere o di un intero sistema urbano ma si colloca direttamente con un impianto vasto che coinvolge almeno, nel caso del nostro Paese, 20 realtà urbane con un minimo di 200.000 abitanti e con un massimo (Roma) di circa 2.800.000 abitanti.

Gli abitanti di queste realtà disporranno di un abbonamento modello “Metrebus” usato da molti anni a Roma in cui sarà possibile usare la intera rete con un costo base di abbonamento fissa più costi aggiuntivi legati al numero di chilometri percorsi sulla rete extra urbana. In realtà si andrà da Via Lepanto a Roma (stazione metropolitana) a Milano (stazione Forlanini della Linea M4) usando un riferimento informatico sul proprio telefonino; ciò per la prenotazione e per il relativo pagamento.

Questa che in modo forse troppo generico ho descritto non è utopia perché sarà solo questione di tempo, sarà solo legata proprio alla reinvenzione digitale tanto invocata e tanto presente in termine di risorse proprio nel PNRR. Questa che, a mio avviso, è una vera rivoluzione delle nostre abitudini rappresenta, sicuramente, una vera e misurabile progettualità sostenibile perché coinvolge in prima istanza un bacino di utenti che supera i 12 milioni di cittadini e riduce in modo sostanziale il ricorso all’auto privata con una riduzione davvero consistente di CO2, un forte contenimento dell’uso dei carburanti e con un ridimensionamento dei bilanci delle famiglie, stimato per i 12 milioni di cittadini, per il trasporto pubblico di almeno 11 miliardi di euro all’anno e infine riduce anche la incidentalità che nelle aree urbane supera il 52% dell’intero numero di incidenti annuali.

C’è solo un dato negativo in questa affascinante prospettazione: due città del Mezzogiorno come Catania e Palermo, non disponendo di un collegamento capace di garantirne la continuità territoriale, non godranno di questa offerta infrastrutturale innovativa. Quando coloro che hanno deciso di non realizzare il ponte sullo Stretto se ne accorgeranno diranno solo: Peccato! Purtroppo per loro il Mezzogiorno può attendere.


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