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Il ministro Vittorio Colao

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NUOVI rumors sulla fine del progetto della Rete unica infiammano il titolo Tim. Al centro delle indiscrezioni (e delle speculazioni) c’è sempre Fibercop, la società controllata dal gruppo telefonico che, secondo i piani che furono varati due anni fa dal governo Conte, si sarebbe dovuta fondere con Open Fiber e avere in mano tutta la fibra ottica in Italia attraverso una nuova realtà battezzata Access Co. La maggioranza azionaria sarebbe stata di Tim.

Il programma non è mai decollato e, con l’arrivo di Vittorio Colao al ministero per l’Innovazione tecnologica è stato messo da parte. Adesso, secondo le voci che si rincorrono a Piazza Affari, potrebbe essere totalmente rivoluzionato e Tim potrebbe rinunciare alla maggioranza. Il disegno di legge sulla concorrenza punta ad aprire il mercato. Esattamente l’opposto della Rete unica, che invece riproponeva il modello del monopolio.

IL NUOVO SCENARIO

L’ipotesi che circola in queste ore per superare il vecchio piano, parla di un’offerta da parte del fondo americano Kkr, già socio con il 37,5% di Fibercop. L’indiscrezione non trova conferme in casa Tim. Tuttavia è sufficiente a far scattare il titolo del gruppo telefonico che da settimane è sui minimi, vista la delusione dei conti al 30 settembre. Ieri è arrivato a 0,34 euro (+4,7%) dopo una punta a 35 centesimi. C’è da sperare che arrivi presto giovedì e che alla riunione straordinaria del consiglio d’amministrazione tutte le carte vengano messe sul tavolo.

A chiamare l’incontro sono stati i francesi di Vivendi. Sono preoccupati. Sollecitano una profonda riorganizzazione del gruppo visti i risultati non certo brillanti. Ma c’è di più. Il dossier scottante è quello della rete unica oramai impantanato. L’uscita di Enel da Open Fiber aveva fatto sperare in un’accelerazione del progetto. Non è successo nulla.

La posizione dei francesi, in quota con il 23,75%, è fondamentale per il destino dell’azienda. Ma non meno importante è quella di Cdp, che al momento è in quota con il 9,81%. Ma soprattutto per il ruolo che avrà nella società della rete (Access Co) in cui dovrebbero confluire il suo 60 per cento di Open Fiber e il 40 per cento di Macquaire. Il piano si sta modificando nella sua sostanza? La rete primaria di Tim sarà assotbita da AccessCo oppure si sta ragionando su un’operazione diversa che porta in dote solo quella secondaria lasciando a Tim le dorsali.

IL POSSIBILE RIBALTONE

Se così fosse è evidente che le carte in tavola cambierebbero: Tim potrebbe rinunciare alla proprietà e sarebbe Cdp il deus ex machina su tutti i fronti, proprietà e governance.

Tim non ha (finora) mai mollato sulla proprietà della rete, quindi l’eventuale decisione non può che essere frutto di un piano B. Anche perché di mezzo c’è anche il rischio che l’Antitrust Ue non dia il via libera all’operazione AccessCo se si prefigurasse un ostacolo alla concorrenza anche solo sulla carta, dovuto alla questione della proprietà in capo a un operatore che possiede già l’infrastruttura.

La notizia di una possibile rinuncia, e quindi di un passo indietro, non può che fare scalpore. Ed è evidente che scatena tutta una serie di interrogativi: se la maggioranza della rete non sarà in capo a Tim chi deterrà lo scettro? Cassa depositi e prestiti? Si sta dunque configurando una proprietà e una guida di Stato? Il valore del titolo Tim è ormai da tempo sotto una soglia di accettabilità per un’azienda che è fra le più grandi in Italia e che ha in capo la rete di telecomunicazioni, vale a dire il supporto fondamentale per mandare avanti la digitalizzazione del Paese su cui fa perno il Pnrr.

LO STATO

Lo Stato ha il dovere di fissare le strategie. Ma anche quello di definire la propria posizione, chiarendo una volta per tutte il ruolo di Cdp. Si sta facendo di nuovo strada il modello Terna (Cdp Reti detiene il controllo con il 29,85%) caldeggiato in passato? Ossia un modello di azionariato in cui il principale azionista e “garante” diventa Cdp? Un modello in cui la remunerazione arriverà dalla successiva quotazione.

«Mettere sul tavolo il tema del controllo ci sembra molto credibile, visto che il dossier rimane il più importante per il gruppo, il deal nella struttura concordata nel 2020 non è più attuale e il controllo era a nostro avviso già qualcosa di negoziabile (anche se non formalizzato) – commentano gli analisti di Equita – Gli esiti rimangono però incerti, perché Vivendi e parte del Cda non sembrano al momento convinti e vediamo ostacoli da agenzie di rating (che si sono sempre espresse con cautela su scenari di rete unica in cui non mantenesse il controllo) e governance».


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