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Il presidente Erdogan visto da Franco Pasqualone

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L’EUROPA e gli Usa non esitano a sanzionare sui diritti umani Russia e Bielorussia ma sono pronti a premiare l’autocrate Erdogan pur che si tenga tre milioni di profughi in casa. Erdogan la fa sempre franca. Eppure Erdogan non è meglio di Putin e Lukashenko, anzi è persino peggio, e forse non è un caso che quando gli fa comodo si mette d’accordo con il leader del Cremlino, una volta in Siria, un’altra in Libia, un’altra ancora in Azerbaijan oppure firma con lui accordi per l’acquisto di batterie antimissile e compra il gas russo attraverso il gasdotto Turkish Stream.

Pur essendo membro della Nato, del Consiglio europeo e ancora aspirante a entrare nell’Unione, Erdogan non rispetta nessuna delle regole europee e da un certo punto di vista è uno dei peggiori autocrati in circolazione ma noi occidentali proseguiamo a tollerarlo fino al punto persino di premiarlo, dandogli otto miliardi di dollari per gestire i rifugiati che arrivano in Turchia, come hanno confermato Draghi e la Merkel nel loro incontro di Berlino, secondo un accordo che l’Unione europea intende proporre anche ad altri Paesi di transito, a partire da Libia, Tunisia e Marocco.

Il leader turco continua a ricattarci quando gli fa comodo ottenere qualche cosa dall’Europa. Prima gli davamo sei miliardi adesso otto. L’aumento dei costi non è dovuto a un auspicabile miglioramento nel trattamento dei profughi ma al fatto che ci ricatta senza sosta.

Nei primi mesi del 2020 Erdogan ha apertamente incoraggiato centinaia di migliaia di profughi ad attraversare i confini con la Grecia dove i rifugiati rimanevano intrappolati in condizioni disumane in una sorta di terra di nessuno. Era quello che prevedeva e che voleva aprendo una nuova crisi umanitaria che è sempre pronto a innescare ogni volta che lo ritiene opportuno e nei suoi interessi. L’estate scorsa la Turchia di Erdogan ha aperto anche una crisi militare tra Ankara e alcuni stati membri dell’Unione con una disputa _ per niente risolta _ sui diritti di esplorazione dei giacimenti di gas nelle acque territoriali di Grecia e di Cipro. Oltre a questi due Paesi è stata coinvolta la Francia e anche l’Italia che però non ha fatto mosse ostili ma probabilmente ritiene opportuno negoziare con Ankara. Queste crisi continue avevano spinto Bruxelles a rivedere la sua politica nei confronti della Turchia.

Ma invece di insistere sul rispetto dei dritti umani – cosa che chiediamo di continuo a Russia, Cina, Iran – i leader europei, per tenere calmo Erdogan, hanno giocato la carta dei vantaggi economici proponendogli di modernizzare e incentivare l’accordo sull’unione doganale, sui servizi e l’agricoltura. Come tutta risposta Erdogan è andato all’incasso e inscenato, con la complicità passiva dei Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, l’umiliazione del presidente dell’Unione europea Ursula von der Leyen che ad Ankara fu sgarbatamente fatta accomodare sul sofà.

L’Unione europea definisce i nuovi accordi come un ”agenda positiva”. Ma cosa c’è di positivo? Nulla, soprattutto nel campo dei diritti umani e politici più elementari. L’Europa e gli Usa di Biden si scandalizzano giustamente per il caso dell’oppositore russo Navalny e Bruxelles riceve al Parlamento europeo i leader anti-Lukashenko, ma nessuno dice una parola sul fatto che i capi dell’Hdp, il partito curdo regolarmente eletto all’assembla turca, restino da anni dietro le sbarre, tra questi il loro capo Selhattin Demirtas. E in carcere rimangono centinaia di giornalisti e critici di Erdogan, tra cui esponenti della società civile come Osman Kavala.

Senza contare il vergognoso trattamento riservato ai curdi siriani, ovvero a coloro che sono stati i maggiori alleati dell’Occidente nella lotta ai tagliagole del Califfato. Nel 2019 Trump decise di ritirare le sue truppe al confine tra la Turchia e i territori curdi lasciando che Erdogan, con il sostegno delle milizie jihadiste, massacrasse i curdi del cantone di Afrin. Allora venne evocato persino un embargo sulle vendita di armi alla Turchia che è presto evaporato nel vuoto più assoluto. Il “dittatore” Erdogan, come lo chiama il nostro premier, prende tutto questo come segnali di incoraggiamento a fare sempre peggio perché percepisce l’estrema debolezza e mancanza di determinazione occidentale ed europea.

Il caso della Libia, la maggiore minaccia per la destabilizzazione dell’Italia, è emblematico. Nel novembre del 2019 il governo Sarraj, riconosciuto dall’Onu, era assediato dal generale della Cirenaica Khalifa Haftar le cui truppe, per altro male organizzate, era a pochi chilometri dal centro di Tripoli. In questa situazione di estremo pericolo, Sarraj chiese aiuto militare a Italia, Usa e Gran Bretagna ricevendo un netto rifiuto. Sarebbero bastati pochi raid aerei per respingere Haftar da parte di quelle stesse potenze occidentali che avevano bombardato per mesi Gheddafi nel 2011, lasciando poi il Paese in un’anarchia sanguinosa che dura ancora oggi.

E invece no: così Sarraj si è rivolto a Erdogan che ha salvato il suo governo non solo con i droni e i militari turchi ma anche con le stesse milizie jihadiste che ha usato in Siria contro i curdi. E ora noi europei, che abbiamo paura anche della nostra ombra, premiamo Erdogan che è diventato padrone pure della Tripolitania da dove continuano ad arrivare i profughi sui barconi con la complicità di trafficanti, clan, tribù e di quella stessa guardia costiera di delinquenti che abbiamo foraggiato e adesso fa anche gli interessi della Turchia. Vedete bene in che mani siamo.


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