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Ogni momento di contestazione, legittima in una fase di elaborazione di un programma, deve trovare un momento in cui questo aspetto si esaurisce ed inizia quello della attuazione dei progetti. Bene tale opzione nelle opere pubbliche sembra non esistere. E pare si possa continuare a mettere in discussione qualunque decisione sempre, senza assumersi responsabilità e provocando danni enormi ai conti dello Stato.

É quello che è accaduto con il ponte sullo stretto già finanziato e poi bloccato da una decisione di Mario Monti, dopo che l’appalto era stato affidato, provocando un contenzioso ancora aperto, oltre che un aumento considerevole dei costi di realizzazione che dovremo pagare tutti con il nuovo appalto.

Se sono veri i calcoli di Prometeia e dell’Assessorato al Bilancio della Regione Siciliana, il danno corrisponde a 6,5 miliardi l’anno per i costi dell’insularità, e quindi, dal 2012 al 2024, di 78 miliardi.

La circonvallazione di Palermo, che avrebbe collegato l’area Est della Sicilia all’aeroporto di Punta Raisi fa bella mostra dei suoi piloni per chilometri, visto che è stata bloccata da un ricorso degli ambientalisti al TAR di Sardegna. Ci saranno decine di milioni spesi inutilmente.

Ci si chiede quindi se é possibile che il cortocircuito dettato dai diversi orientamenti politici, che si susseguono, può consentire di ripescare e abbandonare progetti complessi di infrastrutturazione, che espongono poi a cadute di credibilità difficilmente recuperabili, senza che il conto venga pagato da qualcuno se non da un Paese che arranca e soffre di un ritardo che potrebbe non più recuperare.

Se poi a tale incredibile ping pong si aggiunge anche l’immobilismo tipico e consolidato, che caratterizza la storia delle infrastrutture italiane, complice una macchina burocratica lenta e stanca, allora la miscela diventa una paluda melmosa nella quale affonda tutto. Ieri l’ex sindaco scalzo di Messina, Renato Accorinti, ha occupato la sede del Pd, dichiarando che non se ne sarebbe andato se prima non fosse stato ricevuto da Ely Schlein e non avesse avuto dalla stessa l’impegno a lottare contro la realizzazione del ponte sullo stretto.

Tale determinata posizione, che riguarda buona parte della sinistra, anche se non possiamo dimenticare che lo stesso Romano Prodi, ma anche Dario Franceschini e molta classe dirigente del PD in altre ere, si era dichiarato favorevole ci porta alla riflessione fatta.

È cioè se è lecito che la lotta politica, quando si tratta di infrastrutture così importanti ed impegnative, possa portare alla interruzione di un opera già programmata per la quale lo Stato ha investito parecchie risorse? É lecito che per esempio per un cambio di maggioranza governativa qualcuno possa pensare di interrompere la realizzazione della TAV? O che si fosse lasciato a metà per motivi analoghi la realizzazione del Mose di Venezia?

Nella riunione notturna del 18.12 la Commissione Bilancio del Senato ha approvato l’emendamento del Governo che dispone la rimodulazione delle risorse per finanziare il progetto del Ponte sullo Stretto, confermandone l’importo complessivo di 11,6 miliardi.

A carico dello Stato ci saranno 9,3 miliardi mentre la restante somma di 2,3 miliardi sarà reperita attraverso il fondo per lo Sviluppo e la Coesione in capo alle regioni Calabria e Sicilia. Così la Commissione ha deliberato un nuovo piano di finanziamento da qui al 2032, anno in cui si prevede la fine dei lavori. Un piano che prevede a carico del bilancio dello Stato” la spesa complessiva “di 9.312 milioni di euro così suddivisi: 607 milioni di euro per l’anno 2024, 885 milioni di euro per l’anno 2025, 1.150 milioni di euro per l’anno 2026, 440 milioni di euro per l’anno 2027, 1.380 milioni di euro per l’anno 2028, 1.700 milioni di euro per l’anno 2029, 1.430 milioni di euro per l’anno 2030, 1.460 milioni di euro per l’anno 2031 e 260 milioni di euro per l’anno 2032.

La parte mancante rispetto agli 11,63 miliardi di euro previsti nel disegno di legge viene reperita attraverso l’autorizzazione “della spesa di 718 milioni di euro, proveniente dalla riduzione del Fondo per lo sviluppo e la coesione, nella quota a disposizione dei ministeri che era però vincolata agli investimenti in Calabria e Sicilia, mentre saranno ottenuti gli altri 1,6 miliardi con la corrispondente riduzione delle risorse del FSC, periodo di programmazione 2021-2027 e imputata sulle risorse indicate per le Regioni Sicilia e Calabria.

Vi è un enorme lavoro fatto dalla maggioranza per riportare in vita la società ponte sullo stretto di Messina, per rinominarne gli organi, per chiudere il contenzioso con la società We Build, che aveva vinto il bando precedente, per nominare il comitato scientifico, diversi passaggi e relative approvazioni dalle due Camere. Insomma un lavoro lungo e articolato che ha impegnato i ministri, i parlamentari, gli organi del Parlamento.

Si può pensare che si possa tornare alla prima casella come in un eterno gioco dell’oca? Ci sarà mai un momento in cui una maggioranza decide e una minoranza cerca di migliorare la decisione apportando elementi aggiuntivi, ma non mettendo in discussione la decisione primaria? O invece si continuerà con il “metodo Penelope”, cioè di giorno si tesse la tela e di notte la si disfa.

Peraltro la certezza é un elemento che serve a tutti. Serve a coloro che avranno espropriate le loro case per fare posto ai piloni, che hanno diritto ad un veloce indennizzo per poter programmare la loro vita, serve ai Comuni interessati per poter pianificare il futuro della città in funzione di una opera così importante, serve alle Regioni per il loro piano porti visto per esempio che il ponte ha senso se il porto di Augusta diventa un hub per l’arrivo delle maxi porta container, serve ai licei, alle università, alle scuole di formazione per poter programmare anche in funzione delle professionalità necessarie per i lavori da effettuare.

Insomma é importante che ci sia un punto fermo e si vada avanti. Non si può fare a meno che ci sia un fine pena e che si possa essere certi delle decisioni assunte.


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