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L’ISTRUZIONE al Nord è garantita dai precari, principalmente del Sud. E in gran parte anche senza titoli, vedi il caso delle cattedre di sostegno, e senza aver vinto un concorso. Da sottolineare anche gli studenti dalla primaria alla superiore difficilmente riescono a portare avanti un percorso didattico dall’inizio alla fine con gli stessi docenti. Una formazione, insomma, che spesso è figlia dell’improvvisazione. In poche parole, al Nord l’insegnamento non attira più di tanto e si preferiscono altre tipologie di lavoro.

È innegabile, però, che, in termini di sbocchi lavorativi, il Settentrione offra ai propri residenti una maggiore e, soprattutto, più diversificata offerta occupazionale. Non è un caso, infatti, che in regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Veneto – laddove, cioè, la cattedra di insegnante ha un’attrattiva nettamente inferiore rispetto ad altre e più remunerative professioni – ci sia una massiccia presenza di docenti meridionali.  

Discorso diverso nel Mezzogiorno, dove la stabilizzazione è predominante e il corso didattico è senz’altro più regolare. Ecco uno dei principali motivi della maggiore presenza di docenti precari negli istituti scolastici delle regioni settentrionali. Inoltre l’emergenza cattedre vuote al Nord, tamponata con tanti supplenti meridionali, è un nodo storico della scuola italiana e delle falle del sistema di reclutamento degli insegnanti, che nessun governo sinora è riuscito concretamente a riformare.

Adesso una indagine condotta da “Tuttoscuola”, in riferimento alla situazione degli organici 2020-2021, certifica ciò che già si sapeva: a scuola un professore su 4 è precario (212mila precari rappresentano il 25% di tutti i docenti in cattedra), in cinque anni si è raddoppiato il numero e che le percentuali più alte si registrano nel Nord Ovest e nella scuola secondaria di primo grado.  Numeri che diventano addirittura uno su 3 nelle regioni del Nord Ovest (dove arrivano a quasi uno su 2 alla scuola secondaria di primo grado). Scorrendo i dati ufficiali riportati sul portale unico del ministero dell’Istruzione, Tuttoscuola constata che nel 2015-16 il numero dei docenti precari era meno della metà di quello del 2020-21 e rappresentava il 13,8% di tutti i docenti in cattedra. Il numero dei precari, dunque, “è andato aumentando anno dopo anno e, nonostante un incremento dei posti con l’organico potenziato, la loro incidenza rispetto a tutti i docenti in cattedra, è cresciuta con valori percentuali quasi raddoppiati nell’arco di sei anni”, si rileva nell’analisi.

A fronte della percentuale nazionale media del 25%, nei territori e nei diversi settori l’incidenza di precari in cattedra, secondo Tuttoscuola, risulta notevolmente diversificata. Nelle regioni del Nord Ovest la percentuale sale al 33,7%: un docente precario ogni 3. Nelle regioni del Nord Est è del 30,3%, in quelle del Centro è del 27,5%. Le percentuali delle isole e del Sud, rispettivamente del 17,9% e del 15,8%, sono indice di maggiore stabilizzazione degli organici.

Per quanto riguarda i singoli settori, è la scuola secondaria di primo grado a registrare tassi elevati di precarietà con un valore medio nazionale del 32% che sale al 45,6% nelle regioni del Nord Ovest, del 39,7% in quelle del Nord Est, e del 34,2% in quelle del Centro. Situazione moderatamente meno precaria nelle isole (21,7%) e nelle regioni del Sud (18,9%). Anche il secondo grado della secondaria (media nazionale del 27,7%) registra nelle regioni del Nord Ovest le percentuali più elevate di docenti precari (36,7%), seguite dal Nord Est (33,8%) e dal Centro (30,6%). Più stabili le cattedre del Mezzogiorno rispettivamente con il 21,1% di precari nelle Isole e con il 18,5% nel Sud.

Nella primaria e nella scuola dell’infanzia le percentuali di precariato sono più contenute (rispettivamente del 20,5% e del 16,4%), anche se si conferma un divario di incidenza tra Nord e Centro da una parte e regioni del Mezzogiorno dall’altra. La ridotta disponibilità di posti incide probabilmente sull’anzianità dei docenti, al punto che nella scuola dell’infanzia si registra l’età anagrafica media più elevata.

SOSTEGNO, IL NORD CHIEDE PARITÀ

La formazione per la didattica agli alunni con disabilità è una necessità che si evidenzia ogni anno quando, in occasione delle nomine in ruolo, i posti restano scoperti per mancanza di docenti forniti del titolo e ancor più questo succede quando si assegnano le supplenze. Due mesi fa il ministero dell’Università, di concerto con quello dell’Istruzione, ha ottenuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) l’autorizzazione per avviare 90.000 Tirocinii Formativi Attivi (Tfa) di sostegno nei prossimi tre anni accademici a partire dal 2021/22. Ma questa volta a lamentare la disparità territoriale è il Nord. «Quello che non va, purtroppo ancora una volta, è la disparità negli accessi ai percorsi che si riscontra a livello territoriale, con differenze a volte molto marcate che non si spiegano né si possono giustificare.

Su un’offerta di corsi pari a 25.874, la stragrande maggioranza riguarda atenei del centro sud – spiega Cisl scuola –  per le università del nord invece i numeri sono davvero molto limitati. Ancora una volta si ripropone una disomogeneità che veramente si stenta a comprendere; ancora di più si fa fatica a capire come non siano possibili interventi sulla programmazione degli atenei per determinare una necessaria inversione di rotta”. Gli insegnanti di sostegno forniti di titolo mancano soprattutto al Nord, che quest’anno vantava il 63% del totale dei posti vacanti destinati al ruolo e ne ha coperti sì e no il 20%. Il complessivo dei posti residui è pari 55.952.

“Dalle tabelle allegate al decreto vediamo che la Lombardia offre poco più di 1000 posti, mentre la Campania, la Calabria e la Puglia ne avranno ciascuna il doppio, Sicilia e Lazio cinque volte tanto – sottolinea Cisl scuola  – Cosa manca alle Università del Nord che non riescono ad attivare i posti necessari? Eppure sono università stimate; perché alcuni territori sono più attenti a queste esigenze e altri no? Sono in affanno o dimostrano scarso interesse ai temi dell’istruzione? Denunciamo da anni questa situazione, sempre più insostenibile; finora nulla è cambiato, quindi il tema va nuovamente posto all’attenzione di tutti affinché nei prossimi due anni, che vedranno l’attivazione, finalmente, di altri 64.000 Tfa, si possa raggiungere una distribuzione dei percorsi più equa e rispondente ai bisogni di tutti gli alunni del Paese”.

Tanti alunni con disabilità trovano in classe ogni anno docenti che insegnano sul sostegno privi di titolo. “Per loro sarebbe opportuno prevedere l’accesso diretto e garantito ai percorsi di formazione, per raggiungere la specializzazione e poter essere assunti in ruolo, così da garantire una continuità didattica sempre sbandierata a parole ma negata nei fatti da politiche sulla formazione che si rivelano del tutto inadeguate e prive di lungimiranza” aggiunge la Cisl.


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