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Voto di scambio o grido di dolore? Il reddito di cittadinanza continua ad essere un tema centrale rispetto all’andamento della competizione elettorale. In molti lo ritengono uno strumento che è stato utilizzato in modo perverso da un raggruppamento politico senza scrupoli.

Il Movimento Cinque stelle lo difende a spada tratta sfidando chiunque voglia eliminare una misura che, sostengono, ha salvato molti dalla povertà in un periodo particolarmente difficile, prima caratterizzato dalla pandemia ed ora da un aumento dell’inflazione che sta erodendo molti dei redditi degli italiani e delle pensioni, soprattutto quelle più basse.

La cosa più facile è dire che incoraggia molti a scegliere di non lavorare, perché è molto più comodo avere un sussidio, che ti arriva mensilmente, piuttosto che faticare per avere un salario decente. E poiché il reddito di cittadinanza è utilizzato prevalentemente nelle regioni del Mezzogiorno il pensiero conseguente è che i meridionali sono nullafacenti, scansafatiche, e per essere completi aggiungerei anche mandolinari e mangia spaghetti. Completando la serie di luoghi comuni che individuano le popolazioni dello stivale.

Peraltro lo strumento ha colpito pesantemente una certa imprenditoria del Nord che era abituata, soprattutto per i lavori occasionali e stagionali, ad avere tutta la manodopera che serviva loro. Ed in molti casi avere manodopera bianca e che parla in italiano è molto più comodo che averla nera e che balbetta la lingua.

Ma ha disturbato anche molta imprenditoria del Sud, abituata ad avere una massa disponibile che pressava sul mercato del lavoro e che invece con tale strumento è venuta meno.

Il tema è diventato di quelli dirompenti soprattutto perché le forze politiche, che ritengono che il reddito di cittadinanza vada abolito o perlomeno pesantemente modificato, si sono convinte che abbia indirizzato il voto di molti elettori verso il Movimento5S, adesso partito, che del suo mantenimento ne ha fatto un cavallo di battaglia della campagna elettorale.

Mentre dall’altra parte il Movimento 5S sostiene che è un loro merito aver saputo interpretare le esigenze di una popolazione marginale, che versa in stato di grande bisogno. Certamente non si può nascondere che alcune volte lo strumento può incoraggiare alcuni, abituati a vivere di espedienti, mettendo insieme reddito di cittadinanza e lavoretti in nero, a rinunciare ad un vero lavoro strutturato.

La verità però è che di lavori che abbiano una dignità sufficiente per essere chiamati tali, nel Mezzogiorno, ve ne sono pochi e che le esigenze di un mercato del lavoro asfittico, nel quale l’offerta dei lavoratori sopravanza pesantemente la domanda delle imprese, sono sempre estremamente limitate.

Il macigno dell’esigenza della creazione di un saldo occupazionale di oltre 3 milioni di posti di lavoro, per arrivare al rapporto popolazione occupati dell’Emilia-Romagna, sta sempre lì ad incombere per dare quella spiegazione del fenomeno che molti non vogliono comprendere.

Se ogni anno vi sono 100.000 persone che abbandonano la realtà del Sud, con un costo per le varie casse regionali di oltre 20 miliardi, considerato che ogni individuo per essere portato alla scuola media superiore costa 200 milioni, è evidente che la realtà meridionale è più complessa di quanti la vogliano semplificare con stereotipi che sarebbe l’ora di abbandonare.

E che invece la capacità di affrontare le difficoltà che la vita presenta è forse molto più grande nei ragazzi del Sud di quanto non abbiano coloro che evitano pure di andare all’università, perché tanto il lavoro lo trovano facilmente dopo le scuole medie superiori.

Tra parentesi non bisogna dimenticare che moltissimi di coloro che emigrano ogni anno, per il primo periodo, che spesso non si limita a pochi mesi, vengono aiutati pesantemente dalla famiglia, con rimesse importanti perché la remunerazione che percepiscono non è sufficiente per mantenersi fuori casa, cosa che provoca il primo salasso. Il secondo si verificherà quando i genitori compreranno loro la casa nella periferia milanese.

La gente del Mezzogiorno è in cerca di una forza politica che lo rappresenti, che si prenda carico di una problematica che dal 1860 è diventata sempre più irrisolvibile.

Stanca di vedersi utilizzare come colonia dove si può catapultare la Brambilla animalista a Gela, come la Fascina semi moglie a Marsala, cerca, delusa da molti partiti che dichiarano di volersene occupare solo a parole, qualcuno che la rappresenti adeguatamente e che possa contrapporsi ad una Lega che porta 100 rappresentanti nel Parlamento italiano, e ad un partito unico del Nord, nel quale si inserisce anche Bonaccini del PD, che vuole quell’autonomia differenziata che in assenza dei Lep, dei quali non si parla più, possa consentire ai bambini di Reggio Emilia di avere quei servizi che quelli di Reggio Calabria non riescono nemmeno a sognare.

Per questo quello che viene dal Mezzogiorno e che andrebbe adeguatamente interpretato è un grido di dolore, una richiesta di aiuto, ma anche un moto di rabbia, perché ormai in tanti si sono stancati di essere sudditi, non di un re, ma di una realtà nordica che indirizza risorse, investimenti, infrastrutture, servizi in generale solo verso una parte.

E che al momento opportuno fa carte false per non perdere l’investimento della Intel, che porterà tanti posti di lavoro in un Veneto che non ha nemmeno il capitale umano da impiegare nelle fabbriche.

Quando Conte dice a Renzi di provare a scendere tra la gente, senza la sicurezza che lo protegga, in modo assolutamente sbagliato perché è sembrata una minaccia, evidenzia che il Sud è diventato una polveriera e che il pericolo che il bisogno possa portare a delle reazioni scomposte è immanente.

D’altra parte anche il segnale di Cateno De Luca, che oltre ad avere poco meno del 30%, non essendo supportato da alcun partito alle elezioni regionali siciliane, riesce a portare due rappresentanti nel Parlamento nazionale dà la dimensione di un disagio che non può essere ridotto alla questua di un popolo mendicante.

Ma non mi pare che tali chiavi di lettura siano comprese da una realtà nazionale che continua il suo percorso, minacciando con Zaia di far saltare la formazione del nuovo Governo se non si procede immediatamente con quell’autonomia differenziata che sarà un ulteriore passo verso la secessione di fatto di una parte del Paese, che apre un panorama che potrebbe portare a scenari non prevedibili.


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