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Un nuovo concetto si é fatto strada da qualche mese a questa parte, cioè dall’insediamento del Governo Meloni. É entrata nel lessico politico la parola occupabilità. Indica quelle persone che essendo in età di lavoro, quindi da 16 a 64 anni, in buona salute, sarebbero in condizione di lavorare.

Il concetto era necessario per arrivare a un secondo passaggio quello di togliere a coloro che entravano in tale categoria la possibilità del beneficio del reddito di cittadinanza.

Dietro tale pensiero vi é una certezza che chi é in condizione di lavorare e ne abbia la voglia sia in condizione di trovare un lavoro, in qualunque parte d’Italia.

Evidentemente coloro che sono convinti di tale affermazione non conoscono i dati complessivi del mercato del lavoro e lo si capisce anche dai dibattiti frequenti nei talk show nei quali improvvisati tecnici, spesso giornalisti nordici, affermano con grande sufficienza che laddove uno voglia lavorare alla fine una occupazione la trova.

L’idea che invece vi possa essere una opzione che preveda che il lavoro si possa non trovare non é prevista. “A memoria di rosa non é mai morto un giardiniere” dice un proverbio cinese che sottolinea che ognuno giudica dalle esperienze che fa. Ed evidentemente per Pietro Sinaldi ma anche per Bruno Vespa non esiste la possibilità che un “Giuseppe” di Palermo possa cercare una occupazione dignitosa e possa invece non trovarla.

Ovviamente vi é parecchia gente che non si é mai chiesto perché in tanti anni abbiamo popolato le contrade del mondo con i nostri emigranti. In realtà il retro pensiero é che per il nostro Paese l’ipotesi di uno spostamento di massa potrebbe essere tra le opzioni praticabili.

Spopolamento delle campagne con conseguenti possibili disastri ambientali, antropizzazione estrema dei territori del Nord, con conseguenze sui territori nel consumo del suolo piuttosto che nella diffusione di virus, come si é visto con il Covid, problemi sociali dovuti a eccesso di popolazioni emigrata, sono temi che non trovano interesse in chi crede che la soluzione possa essere una emigrazione di massa.

Costoro non hanno peraltro nemmeno idea che il mercato del lavoro é segmentato e che é difficile che chi appartiene ad un segmento sia disponibile ad entrare nel mercato del lavoro di un altro segmento.

Cioè che non bisogna stupirsi che magari vi siano posti di lavoro per extracomunitari che sono disponibili a raccogliere l’uva o i pomodori o disponibili a fare da badante o da cameriere in casa e che invece i nostri non siano propensi ad accettare tale tipologia di lavoro.

Come si vede l’argomento è estremamente complesso, e forse sorge la necessità che vi siano due strumenti: uno di assistenza per coloro che non sono in condizione di lavorare per una qualunque motivazione, come per esempio quella di avere un disabile a casa, o di avere prole che nessun altro può assistere, o di aver malattie invalidanti, e uno invece che possa consentire a chi è uscito dal periodo di formazione ed è in attesa di trovare un’occupazione di non dovere a tutti i costi accettare ricatti lavorativi, magari in nero, non adeguati alla formazione che l’individuo ha conseguito. La sensazione invece che si ha é che si voglia mantenere lo strumento di assistenza per chi non può lavorare e non considerare come problema quello di una mancanza di domanda di lavoro e considerare poi il mercato del lavoro nazionale un unicum.

Per cui chi dovesse cercare lavoro ad Augusta e dovesse avere una possibilità di lavoro a Trento, nel caso in cui non dovesse accettare, si considererebbe un soggetto che rifiuta e quindi non ha diritto al sussidio.

Addirittura nella formulazione più rigida, che sta convincendo molti, basterebbe essere in condizioni di poter lavorare quindi in un’età opportuna per perdere il diritto.

Si tratta di un ritorno indietro rispetto a quello che si era deciso precedentemente e che aveva consentito a molti giovani di non doversi trasferire a migliaia di chilometri distanza per trovare un’occupazione.

Si tratta anche di soprassedere ad una problematica importante, che vede una parte del Paese senza alcun opportunità lavorativa. E il reddito cittadinanza, con tutti i limiti e la cattiva gestione conseguente, ha avuto il merito di aver fatto emergere quello che statisticamente non è mai stato un vero problema.

Infatti nel tasso di disoccupazione tutti coloro che si sono presentati per richiedere il sussidio non erano calcolati. Infatti tali tassi si distribuivano nel Paese tra il 4- 5% delle regioni a sviluppo compiuto ed un massimo del 20% in quelle a sviluppo ritardato. Quindi un tasso disoccupazione molto basso anche se consistente anche nelle regioni meridionali.

Questo succedeva perché molti non si presentavano sul mercato del lavoro e quindi non erano più in cerca di un’occupazione, perché erano convinti che la ricerca fosse totalmente inutile e che quindi l’unico sistema di sopravvivere fosse quello di arrangiarsi, perché un vero lavoro non lo avrebbero mai trovato. E quindi non venivano considerati nel mercato del lavoro perché diventavano non forza lavoro.

Oggi che il Paese scopre che invece coloro che avevano diritto al sussidio erano un numero notevolmente più elevato di quanto non si immaginasse, si pensi ai 600.000 campani o a 500.000 siciliani, allora si corre ai ripari e si elimina gradualmente il sussidio.

Ma certamente non può essere questa la risposta e, anche se con un certo ritardo, anche il Governo se ne accorgerà e dovrà capire che il vero intervento che serve non è quello sul sussidio, e che eliminarlo può anche essere semplice, ma che il problema rimane.

Ed è il fatto che circa 3 milioni di persone che sarebbero in condizione di produrre reddito e che abitano nel Mezzogiorno oggi non vengono utilizzate. La cosa importante non è vedere quanto questi costino per un sussidio, che si può più o meno dare, ma quanto spreco vi sia nel non utilizzare una forza lavoro disponibile, spesso formata, che non riesce ad entrare nel gioco produttivo e quindi non riesce a produrre quel reddito che sarebbe importantissimo per aumentare le nostre risorse fiscali, necessarie per poter dotare tutte le realtà regionali di quei diritti di cittadinanza che invece per mancanza di risorse in alcune parti del Paese non sono disponibili.


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