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Conte firma i caschi degli operai che hanno realizzato il nuovo ponte di Genova

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È la giornata del ponte, che veniva chiamato (non ufficialmente) Morandi in onore del suo progettista e che da oggi si chiamerà più sobriamente Genova-San Giorgio. Un doveroso omaggio alla città che ha pagato un tributo di morte, feriti e distruzioni varie dovute alla scarsa responsabilità di chi doveva gestire e manutenere l’opera. Oggi si può celebrare, sobriamente come è giusto in presenza di tanto lutto, un orgoglio italiano: essere stati capaci di ricostruire un’opera essenziale per la viabilità e per l’economia di un porto importante come quello di Genova a tempo di record e con un progetto tecnologicamente molto avanzato e bello anche come architettura.

I RINGRAZIAMENTI

Le persone da ringraziare sono molte: l’architetto (e senatore a vita) Renzo Piano che ha donato il progetto, Webuild (ex Impregilo) e Fincantieri che sono stati gli assi portanti del lavoro, il sindaco Bucci commissario straordinario e avanti con un elenco che dovrebbe essere ben più lungo (e che il sindaco ha fatto nel suo discorso). Vanno aggiunti i parenti delle vittime e le persone costrette a rinunciare alle loro case che hanno sempre espresso con misura il loro dolore riuscendo, ed è stata una grande impresa, a non farsi risucchiare nel vortice del populismo politico.

I GESTORI DELLA RETE

Perché invece quello che esce pesantemente sconfitto in questa giornata è proprio il populismo. Nessuno ha dimenticato le immagini e gli audio di due anni fa con troppi politici che si buttavano a speculare su quanto era avvenuto e promettevano interventi draconiani: buttare fuori i Benetton, pene esemplari per i colpevoli, rivoluzioni parlamentari conseguenti. Nulla di tutto questo è successo. I gestori della rete autostradale sono a tutt’oggi sempre quelli, cioè la società Aspi, vero terreno in cui cercare le responsabilità, perché additare al pubblico ludibrio i Benetton in quanto controllori azionari del controllore azionario di Autostrade compiace chi ha in mente lo stereotipo del grande capitalista che antepone a qualsiasi morale il suo guadagno, ma non risponde alla realtà del moderno modo di funzionare del sistema economico attuale. Ad oggi non abbiamo ancora visto avviarsi un’azione giudiziaria che metta letteralmente alla sbarra coloro che dovevano gestire e controllare (che non è detto siano “i padroni”, ma piuttosto catene di comando sia nel privato, Autostrade, sia nel pubblico, funzionari del MIT, da individuare con precisione).

DUE GOVERNI

Quanto al richiamo della gestione della rete autostradale nelle mani dello stato siamo ancora abbastanza in alto mare. Si sono letteralmente persi due anni per compiacere i pregiudizi dei Cinque Stelle, per cercare poi di chiudere tutto con un colpo di teatro poco prima dell’inaugurazione, ma scoprendo proprio in questi giorni che si tratta di un affare complicato che non si può risolvere a base di proclami. Due governi rispondenti a diverse maggioranze si sono susseguiti, in parte avendo presenti le stesse persone (che non hanno rinunciato a “farsi vedere” questa volta, come fecero a suo tempo nella cerimonia di commemorazione dei caduti). Naturalmente l’ufficialità politica ha le sue regole e perciò tutte le autorità hanno voluto/dovuto essere presenti, senza però che fosse concesso spazio particolare alla loro visibilità. Importanti a diverso titolo i discorsi che si sono uditi. Asciutto, per niente retorico, ma toccante quello del sindaco Bucci. Creativo e capace di muovere i sentimenti quello dell’architetto Renzo Piano.

Ma ovviamente l’attesa inevitabile era per il discorso del premier Conte, che era, suo malgrado forse, il trait d’union fra un certo modo di affrontare la prima fase e il modo di oggi. Il presidente del consiglio non ha una retorica trascinante, e nella prima parte del suo intervento è stato piuttosto piatto e prevedibile. Ha cambiato registro nella seconda parte quando invece ha puntato con tutta evidenza ad un discorso programmatico sul suo modo di intendere il modo attuale di stare al governo. Ha voluto affrontare piuttosto esplicitamente la questione del cambio di gestore, dal privato al pubblico, in una evidente adesione ad una certa ideologia dei Cinque Stelle. Ha dato per conclusa una fase che non lo è, ma questo dalla sua posizione è comprensibile. Poi però ha legato l’esempio della risorgenza di Genova a quella dell’Italia post pandemia, sostenendo, piuttosto esplicitamente, che ciò è la prova di quanto l’Italia debba essere creduta dall’Europa quando afferma di saper affrontare le sue 3 difficoltà.

LA RIVISTA DEL 1945

Ma soprattutto in conclusione ha voluto citare Calamandrei e la sua rivista varata nel 1945 a cui aveva voluto dare il titolo de “Il Ponte”. Si potrebbe pensare che si tratti solo di un abile artificio retorico per sfruttare l’immagine di quel titolo, ma c’è di più. Calamandrei è un simbolo di un ben preciso approccio politico alla ricostruzione postbellica, quello che genericamente si usa riferire all’azionismo: un approccio progressista, ma slegato tanto dall’ambito del cattolicesimo politico quanto da quello del mondo social-comunista. Significa che Conte prova a gettare qualche premessa per una sua collocazione politico-ideologica piuttosto specifica per quando si arriverà, come prima o poi sarà inevitabile, al confronto elettorale, soprattutto se avverrà, come sarebbe logico in questo momento, in un quadro di sistema proporzionale?

IL SASSO

Il premier è di quelli piuttosto abili a lanciare il sasso nascondendo la mano e dunque non si può dare nulla per certo. Tuttavia potrebbe anche darsi che il giorno dell’inaugurazione del ponte Genova San Giorgio venisse ricordato anche come un ulteriore passaggio nella ridefinizione del nostro quadro politico.


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