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La sede della Corte Costituzionale

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Si può comprendere, ed è forse anche inevitabile, che si manifestino tensioni e contrasti quando si tratta di destinare risorse, o ripartirle tra le diverse Regioni del Paese. Come pure può essere difficile distinguere tra giuste rivendicazioni e difesa di vecchi o nuovi privilegi, se non si tiene conto del quadro costituzionale, che costituisce la base finanziaria delle autonomie territoriali.

Il “federalismo fiscale”, espressione diffusamente utilizzata per designare l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, quale è delineato dall’articolo 119 della Costituzione a seguito della riforma del 2001, ha alcuni capisaldi che hanno il loro ancoraggio nel principio fondamentale che lega il riconoscimento e la promozione delle autonomie locali con la unità e indivisibilità della Repubblica.

IL PRIMO CAPOSALDO

Il primo caposaldo è costituito dall’attribuzione alle Regioni, e agli enti locali, di risorse autonome, con tributi ed entrate proprie, e partecipazione al gettito di tributi erariali che si riferiscono al loro territorio. Questa è una bandiera delle Regioni più ricche: il gettito fiscale rimanga ad alimentare la spesa delle Regioni dove si produce.

Ma la costituzione subito precisa che «lo Stato istituisce un fondo perequativo senza vincoli di destinazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante». Ecco la bandiera delle Regioni svantaggiate: intervenga lo Stato a integrare la scarsità delle risorse prodotte nel loro territorio e il conseguente minore gettito fiscale. L’unità e l’eguaglianza, che si riverbera sui servizi alle popolazioni, è assicurata dall’integrale finanziamento, per le une e per le altre Regioni, delle funzioni pubbliche loro attribuite.

LE RISORSE AGGIUNTIVE

Il secondo caposaldo, distinto dal precedente, è costituito dalle risorse aggiuntive che lo Stato attribuisce e dagli interventi che deve effettuare per promuovere lo sviluppo economico delle aree svantaggiate, rimuovere gli squilibri economici e sociali, promuovere la coesione e la solidarietà sociale, favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona. Emerge ancora una volta l’unità del Paese, la solidarietà, la garanzia della erogazione in tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali.

Tutto questo è una enunciazione verbale oppure un dovere costituzionale, al quale deve essere data attuazione ? Abbiamo appreso da costituenti come Piero Calamandrei e da maestri come Vezio Crisafulli, per indicarne alcuni, che la costituzione è vincolante anche quando detta disposizioni di principio e stabilisce obiettivi politici da perseguire.

LA SPESA STORICA

Il legislatore si è mosso in questa direzione con la legge n. 42 del 2009, che appunto si intitola “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione”.

In essa è previsto e analiticamente descritto tutto l’armamentario necessario per dare attuazione all’impegno costituzionale «garantendo i principi di solidarietà e di coesione sociale», immediatamente richiamati nell’art. 1, che evidentemente non sono rispettati dal “criterio della spesa storica”, se la stessa disposizione richiede «di sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo».

Si direbbe una gradualità tendente all’infinito, se il criterio di ripartizione delle risorse tra le Regioni è ancora dominato dalla spesa storica, anche per servizi pubblici essenziali resi ai cittadini, quali la sanità e l’istruzione.

Una non dissimile delusione si proverebbe osservando la mancata attuazione della costituzione per quanto riguarda i fondi perequativi. La legge solennemente riafferma il «principio di perequazione delle differenze delle capacità fiscali in modo tale da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante», e con ottimismo prefigura «la modifica nel tempo conseguente all’evoluzione del quadro economico territoriale». Gli squilibri permangono e il divario tra nord e sud aumenta, nel reddito, nella capacità fiscale, nei servizi.

LA PEREQUAZIONE

Ancora più vistosa la mancata attuazione della perequazione infrastrutturale che, a stare alla ricognizione dell’esistente prevista per commisurare gli interventi di riequilibrio da attuare, avrebbe dovuto riguardare le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche, la rete stradale, autostradale, ferroviaria, la rete fognaria , la rete idrica, elettrica, di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali.

A un elenco così completo delle infrastrutture materiali si potrebbe aggiungere la rete informatica, per tener conto dell’evoluzione che si è avuta nelle telecomunicazioni dal 2001. Sarebbe impietoso mettere a raffronto nell’arco di tempo della annunciata perequazione l’ammontare degli investimenti e la realizzazione di infrastrutture nel Sud e nel Nord. Lo squilibrio, anziché ridursi, si è vistosamente accresciuto.

LE RISORSE EUROPEE

In questi giorni non è mancato chi ha considerato la possibile riduzione nel sud di oneri contributivi, fiscali o parafiscali, quale strumento per suscitare iniziativa economica e occupazione.

Eppure si tratta di uno strumento che opererebbe nel quadro generale delineato dalla legge del 2009. In essa è prevista «la individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottoutilizzate».

Nel fondo sembra che non si comprenda che lo sviluppo del Sud non risponde solamente al principio di solidarietà e coesione nazionale, di equità, di eguaglianza nei diritti di cittadinanza. Anche un programma improntato a un criterio esclusivamente utilitaristico, vedrebbe nello sviluppo del Sud, la sua trasformazione in centro di produzione e di consumo, una occasione per la crescita del Nord.

La Repubblica federale tedesca con la riunificazione si è fatta carico della ricostruzione delle infrastrutture e della crescita economica dei territori orientali, finanziata da una apposita imposta. Ne ha beneficiato lo sviluppo dell’intero Paese. Le risorse europee messe a disposizione con il Recovery Fund offrono una occasione irripetibile di organica progettazione nazionale degli investimenti, che contribuisca a eliminare, o quanto meno ridurre, il divario tra il Nord e il Sud del Paese e a evitarne il declino.

* Presidente emerito della Corte costituzionale


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