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UNO SPIRAGLIO sembra aprirsi per una “rilettura” dei criteri di ripartizione dei fondi nazionali: i ricorsi al Tar del Lazio e al presidente della Repubblica italiana presentati da quattro Comuni pugliesi contro la distribuzione del Fondo solidarietà comunale sono stati accolti. Altamura, Acquaviva delle Fonti, Bitonto e Giovinazzo – capofila di questa battaglia – finalmente riceveranno i soldi pubblici per l’apertura e gestione degli asili nido. È stato cancellato quello “zero” della vergogna che lo Stato riservava a 65 Comuni del Mezzogiorno per gli asili nido. E’ stato necessario, però, appellarsi alla giustizia amministrativa per far valere i propri diritti: i quattro Comuni pugliesi, nell’estate del 2019, avevano deciso di presentare un ricorso al Tar per chiedere la corretta applicazione dei principi e dei parametri del federalismo fiscale.

Il tribunale amministrativo, dopo aver letto gli atti, ha emesso un’ordinanza istruttoria, chiedendo lumi al governo su come avvenisse la ripartizione delle risorse pubbliche e perché alcuni Comuni, quasi tutti del Mezzogiorno, non ricevessero manco un centesimo. Il governo, prima ancora che il Tar intervenisse con un provvedimento, ha ammesso “l’errore” e ha rivisto la definizione dei livelli di servizio da considerare nel calcolo del fabbisogno standard degli asili nido. Quindi, L’Esecutivo ha preso atto delle illegittimità dei criteri finora seguiti per ripartire le risorse del fondo perequativo di solidarietà comunale. Criteri che penalizzavano gravemente i piccoli comuni del Sud, non riconoscendo a questi alcuna risorsa per garantire ai bambini e alle loro famiglie il servizio di asilo nido. Zero erano infatti le risorse assegnate a fronte di migliaia di bambini fino a due anni a cui i comuni dovevano garantire il servizio. Ad esempio, Altamura a fronte di 3.300 bambini riceveva zero euro, adesso dallo Stato arriveranno circa 688mila euro all’anno.

Lo Stato aveva di fatto stracciato l‘articolo 119 della Costituzione, istitutivo del “fondo perequativo”, che serve a redistribuire le risorse in favore dei Comuni più deboli, al fine di garantire i livelli minimi di assistenza. Il fondo ripartiva le risorse in favore dei Comuni secondo due criteri: quello della spesa storica, e cioè attribuiva ad ogni Comune le risorse sulla base di quanto già in passato attribuito; quello perequativo, basato sul reale fabbisogno. Invece, il governo giallo-verde aveva bloccato la progressione verso il sistema perequativo, congelando la quota di riparto 2019 al 45% e confermando per tutti i Comuni gli identici importi assegnati al 2018, malgrado i fabbisogni del 2019 fossero diversi. Determinante è stata l’ordinanza del giudice amministrativo che ha imposto al governo di giustificare i criteri seguiti nel riparto delle risorse, alla luce del fatto che i comuni ricorrenti non ricevevano neppure un euro per garantire l’assistenza ai tantissimi bambini residenti.

Una battaglia che apre la strada ai 65 Comuni del Mezzogiorno penalizzati: Casoria, ad esempio, 77mila abitanti 2.200 bambini con meno di quattro anni riceveva zero; Imola, 70mila abitanti e 2.900 bambini, incassava 4,5 milioni. Un vero e proprio “scippo legalizzato”, coperto per anni dai parametri che hanno redistribuito nel Paese le risorse raccolte con le tasse: costi standard, spesa storica e fabbisogni. Un vero e proprio “gioco delle tre carte” che ha avuto un effetto paradossale: dare più soldi ai ricchi e meno risorse ai poveri. Lo stesso meccanismo che riserva a due città con gli stessi abitanti, Altamura e Imola, trattamenti diversi: 34 milioni al Comune pugliese, 48 milioni a quello bolognese. Una differenza mica da poco. Come è possibile tutto questo? Semplice: sono gli effetti della mancata applicazione del fondo perequativo, quello che dovrebbe assegnare le risorse, come stabilisce la Costituzione, sulla base dei fabbisogni standard, garantendo un livello minimo di servizi uguale per tutto il Paese.

Tutto bene? Macché: fino ad ora nessun governo si è mai curato di definire gli standard. Così, si è andati avanti con un altro parametro, quello della spesa storica. Con il risultato di favorire i Comuni più ricchi concentrati, ovviamente, nel Nord. Secondo l’ultimo rapporto Svimez, la percentuale di bambini che hanno usufruito di servizi per l’infanzia nel Sud è quattro volte più bassa rispetto al Centro-Nord: 4,7% contro il 16,7%. Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che, dal 2016, il fondo perequativo copre solo il 50% dei fabbisogni dei Comuni, per il Sud la stangata diventa addirittura doppia. Risultato: la spesa pro capite al Sud per gli asili, nel 2016, è stata di 80 euro circa, al Nord di oltre 130 euro, al Centro 141 euro. E’ la Lombardia a fare la voce grossa: per ogni bambino investe 147 euro, ma fa meglio l’Emilia Romagna con 153 euro pro capite. Toscana (141 euro) e Piemonte (109 euro) non sono certo da meno, soprattutto se paragonati ai 53 euro della Calabria o ai 73 euro della Campania.

Una distorsione che non riguarda solo gli asili: la Regione Puglia, nel 2016, per garantire agli oltre 4 milioni di cittadini i servizi di istruzione, asili nido, polizia locale, pubblica amministrazione, viabilità e rifiuti, ha potuto spendere 2,22 miliardi ma avrebbe avuto bisogno di 2,32 miliardi, circa 100 milioni in più. In sostanza, la Puglia – avendo ottenuto trasferimenti statali inferiori rispetto al reale fabbisogno finanziario – ha dovuto stringere la cinghia, mentre il Piemonte nonostante un fabbisogno reale di 2,74 miliardi ne ha spesi 2,81, cioè 70 milioni in più. Ora, chissà, queste ingiustizie sociali potrebbero essere riviste. 


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