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Il presidente Giuseppe Conte

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Non ci sarà nessuna crisi di governo, né alcun Conte 3. Più probabilmente arriveremo ad un Conte 2.1, che è il massimo che in questo momento tutti possono permettersi. Cioè un governo che rimane sostanzialmente eguale a sé stesso, tanto nei suoi punti forza (la mancanza di alternative praticabili senza rischi) quanto in quelli di debolezza (fondarsi su una coalizione politica che non esprime alcun progetto o visione comune), ma aggiustato quanto ai malfunzionamenti più evidenti.
Abbiamo avuto ieri l’avvio del rito della verifica, che sarà il tavolo su cui negoziare gli aggiustamenti in modo che nessuno esca perdente.

E’ probabile che ci sarà, come sempre succede in politica, qualche ambiguo ritocco pubblico che ognuno possa sbandierare come propria vittoria e più di una sistemazione a cui non si darà pubblicità, ma che sarà il contenuto sostanziale dell’accordo raggiunto per tirare avanti. Perché difficilmente si andrà più in là di questo: le debolezze rimarranno e possono innescare il corto circuito in qualsiasi momento. Il punto chiave non crediamo possa essere sostituire qualche ministro, operazione molto complicata. Non solo si possono toccare solo figure marginali, ma bisogna che queste acconsentano a dimettersi “spontaneamente” uscendo con lo stigma di essere degli incapaci, per di più non per lasciare il posto a chissà quali figure di grande peso (farebbero ombra all’immagine dei personaggi chiave del governo), ma ad altri politici giusto un pochino più di peso. Come si dice con una battuta bolognese, sarebbe più la fatica che il gusto.

Piuttosto ci si concentrerà su due aspetti. Il primo fortemente d’immagine, ma non solo, è la cosiddetta cabina di regia. Il punto in questo caso è come non creare un centro di potere difficilmente controllabile e soprattutto frutto di una sola investitura, quella del premier e del suo circuito. Il problema è che questi organismi hanno più poteri sostanziali che formali: cosa di cui il grande pubblico non si rende conto, ma che i politici conoscono benissimo. Conte ha un bel dire che i suoi membri non si sovrapporranno ai ministri e al parlamento, ma basta vedere l’opacissima vicenda del rapporto del OMS e del suo vicepresidente italiano ed uomo del ministero della salute, per capire quanto la “macchina” possa contare più dei ministri. E facciamo attenzione a ciò che ha detto il viceministro alla Salute Sileri a Giletti e al silenzio del ministro Speranza, tanto per capirci. Dunque si potrebbe arrivare all’apparente compromesso: un qualche tipo di cabina di regia si farà, ma ci metteranno becco in molti e se ne articoleranno poteri e composizione in modo che non si crei un centro alternativo che si rafforzerà inevitabilmente gestendo per anni (verosimilmente oltre l’attuale governo) la “ripresa e resilienza” dell’Italia.

Il secondo aspetto da prendere in considerazione è quel che si sarà disposti a concedere alle opposizioni. Qui la faccenda è molto sfaccettata. Per una compagine governativa poco coesa e ricca di sfiducie reciproche puntare sull’aiuto sotterraneo che le varie opposizioni possono garantire ai diversi membri è una variabile molto importante. Gran parte della dialettica della prima repubblica, che è il sistema più simile a quello attuale per natura dei rapporti politici, si è basata sul gioco di sponda fra i diversi partiti delle coalizioni e le opposizioni usate da loro come “vincoli esterni” per condizionare i governi (e all’occorrenza farli cadere). Parliamo di opposizioni al plurale non solo perché una cosa è Berlusconi, un’altra Salvini e Meloni, ma molto più perché la vera forza delle opposizioni sta nei poteri regionali che hanno interessi alquanto diversi da quelli delle demagogie parlamentari.

Ora è chiaro che gran parte degli investimenti possibili coi fondi del Next Generation UE passerà per forza di cose attraverso i canali regionali, dove ci sono governatori di coloriture e carature differenti rispetto a quelle nazionali di riferimento e dove ci sono poi dialettiche peculiari nelle diverse situazioni fra i vari centri di potere (politici, sociali ed economici). Sarà il quadro più difficile da comporre, ma quello che più di tutti impatta su una “distribuzione” del potere e delle risorse da realizzare in un clima di coesione nazionale se non si vuole mandare tutto all’aria. Bruxelles non vuole che si buttino 209 miliardi e questo richiede una specie di quadratura del cerchio: controllo centrale della tenuta dei piani generali, ma al tempo stesso un alto livello di condivisione e corresponsabilità per essi.

Tanto per aggiungere ancora una difficoltà, ricordiamoci che ormai tutti ragionano avendo in mente la scadenza del rinnovo del presidente della Repubblica: un altro passaggio che richiede un connubio fra un buon grado di coesione nazionale e una scelta di alto profilo perché l’inquilino del Quirinale è in questo momento il perno del sistema e il garante della sua tenuta anche per la “ripartenza e resilienza”. C’è un anno di tempo per ristabilire le condizioni di un equilibrio che eviti una gestione corsara di quella scadenza e, lo si voglia o meno, la sistemazione delle attuali fibrillazioni nella maggioranza e nel comportamento del premier ne è componente essenziale. Il che non significa affatto sottovalutare che grazie agli aiuti europei stiamo misurandoci con una grande e irripetibile occasione di risistemazione del quadro economico e sociale del Paese.


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