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Giuseppe Conte e Matteo Renzi

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È IL giorno dell’Epifania: le strade della Capitale sono deserte, i palazzi della politica sono chiusi. Nel frattempo le trattative sul futuro dell’esecutivo proseguono. A ogni ora il termometro della crisi sale e scende. Segno che non è ancora chiaro come andrà a finire. E a sera, dopo l’appello alla responsabilità di Giuseppe Conte, iniziano a scorgersi segnali di tregua.

Oggi sarebbe previsto un incontro con Renzi. Sui contenuti, va da sé. Ma qualcosa si muove sull’asse Palazzo Chigi-Palazzo Giustiniani, dove si trova l’ufficio di Renzi. Un ritocco, un rimpasto, un Conte-ter, il ritorno al voto? La giornata è lunga.

Al mattino al PD sono assai preoccupati: «Renzi sta facendo resistenza all’accordo, minaccia di fare il governo con la destra. Noi torniamo a insistere sul fatto che non esiste un’alternativa a questa maggioranza, se non le elezioni. Oggi comunque RadioCrisi parla di stallo». Un’altra fonte, sempre di area democrat e sempre pregando di non rivelare l’identità, insiste: «Tutto tace. Non è ancora deciso alcunché. Oggi (ieri per chi legge ndr.) ci saranno molti colloqui per portare in consiglio dei ministri il Recovery Plan».

Eppure, il consiglio dei ministri non è stato ancora convocato. Con ogni probabilità si terrà oggi. Prima ci sarà quasi certamente un vertice fra i capi partito o fra i capi-delegazione per definire un accordo di massima. Altrimenti il cdm si trasformerà in una battaglia all’ultimo colpo di fioretto. Il portone di Palazzo Chigi è chiuso ma dentro si trova quel Giuseppe Conte che continuamente guarda l’orologio perché il tempo passa e la soluzione non c’è. E che studia la contromossa per arginare l’alleato Matteo Renzi.

Il premier ha fretta di chiudere la partita e si prepara al cdm delle discordia forte di una nuova bozza del Recovery Plan che avrebbe accolto le richieste dei partiti di maggioranza. Fra le tante, la cancellazione della fondazione sulla cybersecurity, la quota di fondi riservata agli investimenti, con un ulteriore crescita delle spese aggiuntive rispetto a quelle sostitutive. E ancora: 18 miliardi saranno destinati alla sanità, il doppio rispetto alla bozza iniziale. Da qui la stesura di un post su facebook in cui apre ai renziani e ai partiti di maggioranza per serrare le fila del governo.

Tutto questo però potrebbe bastare? Forse sì. Il leader di Iv fa comunque filtrare che da un momento all’altro potrebbe far dimettere le due ministre, Elena Bonetti e Teresa Bellanova. «A noi le poltrone non interessano, lo vogliono capire?» è il refrain di Renzi. «È da giorni che minacciano le dimissioni, li aspettiamo al varco…» replicano con un sorriso dal Nazareno. Dario Franceschini e Goffredo Bettini sono a lavoro per un compromesso che rafforzi l’attuale maggioranza e non comprometta gli equilibri di governo. «Una crisi oggi al buio, con oltre 600 morti al giorno, con un piano vaccini appena iniziato, sarebbe un boomerang». Urge, una soluzione. Politica, va da sé.

Tradotto? «O cambi il presidente del Consiglio, oppure lo commissari con due vice forti». Il primo scenario appare improbabile perché l’avvocato del popolo intende proseguire il suo gabinetto, è convinto di avere la maggioranza del Paese dalla sua parte e che sia incomprensibile l’apertura di una crisi in piena pandemia. È vero, non esclude di sfidare Renzi, prima in consiglio dei ministri, poi in aula. Ma i segnali distensivi che si intravedono a sera preconizzano una soluzione alla crisi. Sia come sia, rimane sul tavolo quel secondo scenario che prevede la nomina di due vicepremier – modello Conte-1 – sarebbe forse la soluzione che riuscirebbe a convincere Italia viva.

Però c’è una questione. Tanti si pongono una domanda che suona così: «Chi sarebbero i due potenziali vicepremier? Zingaretti e Renzi? O comunque Andrea Orlando e un esponente di Italia viva? E i Cinque Stelle che oggi detengono il 34 per cento in Parlamento resterebbero a guardare senza alcun vice?». Domande alla quali nessuno osa rispondere. Il vicesegretario Orlando non solo nega di essere in lizza per la casella di vicepremier ma scandisce: «Se salta il punto di equilibrio si torna al voto».

Tatticismi per spaventare Renzi? Sia come sia, l’ex premier di Rignano avrebbe un secondo obiettivo: non solo mal sopporta Conte e non vede l’ora che salga al Colle a rassegnare le dimissioni, ma ha messo nel mirino anche Roberto Gualtieri perché lo considera troppo filocontiano. Ne consegue che è assai difficile sbrogliare il rebus della crisi. Non a caso il termometro appeso a Palazzo Chigi continua a salire e a scendere. Senza alcuna logica. E senza dimenticare una variabile che rimanda a un’altra sfida nella sfida che si sta consumando nei dietro le quinte. Renzi versus D’Alema. Un grande classico del centrosinistra italiano.

In un colloquio con il quotidiano La Repubblica, il lìder maximo della gauche del Belpaese, si è schierato con l’avvocato del popolo: «Non credo che possa passare per la mente l’idea di mandare via da Palazzo Chigi l’uomo più popolare del Paese per fare un favore a quello più impopolare». Una provocazione che non è stata gradita dall’ex sindaco di Firenze. Eppure Renzi ha preferito non polemizzare, nel corso della giornata ha tenuto sì il punto ma senza strafare.


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