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Il presidente Mattarella con Mario Draghi

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Più team che dream. Mario Draghi è persona di totale concretezza, i sogni sono materia entusiasmante ma impalpabile: all’Italia serve la prima per poter provare a maneggiare i secondi. La lista che il presidente del Consiglio ha sciorinato davanti ai microfoni del Quirinale subito dopo il colloquio con il capo dello Stato è tagliata per garantire al governo una navigazione parlamentare la meno accidentata e la più condivisa possibile.

Le forze politiche trovano tutte soddisfazione, salvo forse Italia Viva, sottorappresentata. I ministeri chiave della fase che l’ex presidente della Bce deve affrontare sono appaltati al completo al Draghi-pensiero: con Daniele Franco al super ministero dell’Economia; Vittorio Colao alla transizione digitale, Enrico Giovannini alle Infrastrutture (che deve affrontare il nodo Benetton), Roberto Cingolani che maneggerà il decisivo ministero dell’Ambiente ridisegnato daccapo con nuove competenze per affrontare la Transizione ecologica incastonata nel Recovery Plan.

Su tutto, affiancando il premier, vigilerà Roberto Garofoli, ex parlamentare Pd che tuttavia è diretto riferimento di Sergio Mattarella. Governo di due presidenti, certo. Ma sarebbe meglio dire bifronte, perché la scelta del Quirinale si rispecchia nell’azione del capo dell’esecutivo: e viceversa. Significativo che le Politiche europee non siano formalmente assegnate: è un rapporto che presumibilmente Draghi gestirà in prima persona. Chi meglio di lui?

I tecnici ci sono e sono di forte caratura. Tra i più significativi l’ingresso dell’ex presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, prima donna a salire sullo scalino più alto della Consulta. Sostituisce Alfonso Bonafede, forse l’espressione più vivida del grillismo senza se e senza ma. Ancor più di Luigi Di Maio, visto Bonafede ha gestito i delicatissimi dossier giudiziari sfociati nell’abolizione della prescrizione, nocciolo duro, durissimo, della visione pentastellata della politica e della società avvolta nel mantello del giustizialismo. È un avvicendamento importante, anzi di più. La magistratura ha toccato il minimo storico di credibilità dopo la vicenda Palamara ed è fondamentale che l’interlocuzione tra toghe e politica avvenga su binari di correttezza e rispetto reciproco.

Ma la caratura politica dell’esecutivo è evidente. Gli effetti speciali non appartengono a questa fase. Prima bisogna assicurare al Paese di ricominciare a correre sapendo di avere alle spalle, che insegue su un piano inclinato, il macigno della pandemia, appaiato a quello delle risorse Ue che devono trovare puntuale applicazione.

Rispetto alle previsioni, è un esecutivo politico-tecnico che ha il compito di funzionare come volano della qualità dell’azione di governo che ha in mente e intende perseguire il premier. Ci sarà chi esprimerà delusione per l’aspettativa di ministri-superstar che sono fuori della lista. Come pure è prevedibile che i maligni sosterranno che la squadra accontenta le forze politiche che dovranno essere il piedistallo per il passaggio da palazzo Chigi al Quirinale del medesimo inquilino. Si tratta delle avvisaglie dei problemi e delle trappole che Draghi incontrerà sul suo cammino, sia sotto il profilo mediatico che su quello dei meandri parlamentari. Promette scintille il rapporto tra il leghista Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo economico e il Pd Andrea Orlando al Lavoro: due visioni divergenti di come intervenire sull’occupazione e tutelare le imprese e i cantieri.

Se proprio vogliamo individuare delle etichette, si può azzardare a dire che quello che nasce è il governo della responsabilità e della concretezza. Più che una passerella di celebrità, Draghi ha cercato di mixare competenze e rispetto delle forze parlamentari.

Il Pd trova soddisfazione nelle conferme di Dario Franceschini e Lorenzo Guerini: con Orlando sono rappresentate tutte le correnti del partito. Idem per i Cinquestelle, da Di Maio a Patuanelli alla Dadone a D’Incá. Più che soddisfatta Forza Italia, costola fondamentale per l’appoggio e il sostegno politico alle scelte di Draghi. La Salute continuerà ad essere fondamentale. E continuerà nelle mani di Roberto Speranza.

Pas d’ennemis à gauche: e poi dicono che l’ex governatore non si intende di politica.


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