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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

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“L’Italia colpita duramente dall’emergenza sanitaria ha dimostrato ancora una volta spirito di democrazia, di unità e di coesione”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del 160º anniversario dell’unità d’Italia, della costruzione dell’inno e della bandiera. 

Ad un Presidente della Repubblica non si possono, forse, chiedere dichiarazioni diverse da quelle fatte. Ma, al di là di ruoli e di obblighi conseguenti, credo che anche il presidente nel suo intimo avrà qualche dubbio su un Risorgimento tradito.

Se, come diceva Mazzini, l’Italia sarà quello che il Mezzogiorno sarà, allora non si può che registrare il fallimento del processo di unificazione, perlomeno economico e sociale. Altro che spirito di democrazia, di unità e di coesione.

Qui il Sud si è messo in una cordata nella quale chi la conduce in molti momenti  taglia la corda e fa precipitare.

Senza dimenticare che l’unità politica si è compiuta anche con operazioni, come quella di Bronte, che è stata teatro di uno dei massacri più feroci della storia, o di operazioni di polizia come quelli fatti nei confronti dei cosiddetti briganti, che, oltre a vera forma di banditismo caratterizzata da azioni violente a scopo di rapina ed estorsione, raccoglievano spesso ribellioni che avevano connotati di vera e propria rivolta popolare.

Certamente la delusione dei cafoni meridionali, che pensavano di poter ripartire con un nuovo ordine delle cose, nel quale non sarebbero stati più sfruttati, è stata cocente. 

Se ancora a 160 anni dall’unità una parte del Paese non è collegata, se ancora Cristo non vuole attraversare le terre montuose della Calabria né arrivare ad Augusta, se esistono cittadini che hanno il diritto agli asili nido ed altri che invece non hanno diritto nemmeno a scuole sicure, se per avere un lavoro 100.000 meridionali ogni anno sono costretti ad emigrare dalle loro terre come i poveri tunisini o gli abitanti dell’Africa sub sahariana, invece che con un barcone con un volo low cost, allora non si può non registrare quello che un paese serio considererebbe un fallimento. 

Il fallimento dell’unificazione economica e sociale  del Paese e la sconfitta della mancata realizzazione dei principi costituzionali, che affermano che il diritto al lavoro, il diritto alla sanità e il diritto all’istruzione sono uguali ovunque tu abiti.

Ben venga  l’enunciazione di Enrico Letta  nel suo discorso programmatico dello Jus Soli, ma se a fianco si afferma il diritto da parte dei cittadini italiani meridionali di avere le stesse condizioni di partenza di coloro che nascono nel nord del Paese.

Queste regioni meridionali ultime della graduatoria delle arie periferiche dell’Unione Europea, per reddito pro capite, per tasso di occupazione, per quantità di export per individuo, per numero di chilometri di alta velocità per abitante, per speranza di vita, per mortalità infantile dimostrano il fallimento di un processo di unificazione che doveva essere a vantaggio di tutti.

Ed invece c’è una parte che ritiene di  aver vinto ed una che ha certamente perso. Il nostro Paese, così abituato a considerare una parte funzionale all’altra, si trova oggi con due realtà più diverse di quanto non fossero dopo l’impresa dei 1000 di Garibaldi.

Nel quale ci chiamiamo tutti italiani ma solo per una forma lessicale identica. Ma dove le differenze tra le due parti sono profonde.

La competizione tra le due realtà sempre più complicata,  le spinte centripete sempre più forti e l’esigenza di avere un interlocutore diretto in Europa, da parte dei meridionali,  sempre più avvertita. Mentre nel Governo dei migliori la presenza della classe dirigente e politica meridionale é sempre meno consistente.

Le sollecitazioni alla divisione sono sempre più pesanti,  se è vero che la parte nord  del Paese pressa per autonomie differenziate che hanno come unico scopo quello di tenersi quel cosiddetto residuo fiscale che se è attuato come dice Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, è “un principio intrinsecamente secessionista. Pensi che il vero atto di fondazione del nuovo Stato italiano, nel 1861, fu l’accollo ad esso dei debiti degli Stati preunitari”.

Non c’è molto da festeggiare oggi. Forse è meglio riflettere su come evitare che i processi disgregatori già maturati nell’ex Cecoslovacchia, molto presenti nella Scozia e nella Catalogna possano trovare sponde sempre più numerose anche tra i meridionali.

Lo stesso Mattarella forse farebbe bene a parlarne, senza aderire ad un racconto di una vulgata, certamente aulica un po’ demagogica, del Paese unito. Perché il rischio per il Sud che si passi dalle celebrazioni della Unità, della Bandiera e dell’Inno di Mameli, a forme di secessionismo o indipendentismo nella sua espressione massima, o a forme di astio generalizzato e di sensazione di maltrattamenti subiti è alto. Essi hanno già manifestato le prime avvisaglie  e peraltro sono già sfociati nell’elettore meridionale in adesioni a movimenti populisti, che in seguito potrebbero consentire vie di fuga masanelliane certamente non auspicabili. 


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