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Il presidente del Consiglio Mario Draghi

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UN BEL tacer non fu mai scritto. Per Draghi diventa non fu mai detto. Ieri il presidente del Consiglio è andato a Bergamo ad inaugurare il Bosco della memoria nella città più martoriata dalla prima ondata del Covid. Ha detto cose molto importanti, di impatto anche emotivo. Tutte condivisibili.

Eppure in tanti continuano ad accusarlo di evitare il rapporto mediatico, di essersi chiuso nel castello di palazzo Chigi e di averlo trasformato in un maniero da dove esercita il potere, impartisce direttive e sostituisce Commissari straordinari e componenti del Comitato tecnico-scientifico. Neanche troppo velatamente, più d’uno lo accusa di voler combattere in solitudine solipsistica la battaglia della vaccinazione di massa; di essere capace di interloquire sciorinando autorevolezza, prestigio e competenza con gli omologhi della cancellerie europee e mondiali ma di non mettere in agenda una conferenza stampa con i media italiani. Quel suo “comunichiamo ciò che facciamo” – e dunque finché non si raggiungono gli obiettivi prefissati non c’è nulla da dire – da stile di lavoro si è trasformato in un sudario che isola, un fossato che separa e perfino esclude.

Ma è davvero così? Sono giusti richiami o affannate richieste da circo mediatico? La realtà è che si tratta di una questione delicata, forse la più delicata di tutte. Perché rimanda al tema decisivo rappresentato del ruolo politico che la Costituzione assegna al presidente del Consiglio, figura non più solo centrale nell’azione governativa ma diventata istituzionalmente semi-esclusiva nel rapporto con i cittadini visto lo scemare di credito del Parlamento. Forse è utile rileggere quel che dice la Carta a questo proposito. L’articolo 95 disegna e stabilisce le funzioni del capo dell’esecutivo: “Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri”. Dunque è tutto lì, in quelle due parole: “politico ed amministrativo”.

Tradotto nell’epoca della comunicazione digitale in tempo reale significa che il Presidente del Consiglio non è solo il decisore ultimo delle iniziative e dei provvedimenti legislativi; non è soltanto la cima della piramide, il vertice amministrativo del Paese. Bensì è chiamato anche (e forse in questa fase soprattutto) a svolgere un compito politico. Che è quello di caricarsi sulle spalle le angosce, le incertezze, le paure e la rabbia di milioni di italiani che sono alle prese con una tragedia che gli oltre centomila morti e le devastazioni economiche e lavorative squadernano, e che chiedono impegni e rassicurazioni da parte di chi si è assunto l’onere di guidarli.

Non c’è solo una questione di riconoscimento delle legittimità dei media, che pure è tema tutt’altro che trascurabile. C’è soprattutto l’esigenza di infondere fiducia nei cittadini con le modalità più opportune, di spiegare il perché e l’esigenza di alcune decisioni rispetto ad altre. C’è il dovere di illustrare agli italiani dove li si vuole condurre, e come. Non solo nella aula parlamentari ma anche sui mezzi di comunicazione di massa. Ovviamente a questo tipo di ansia si può replicare ribadendo che l’obiettivo è chiaro e Draghi lo ha esplicitato di nuovo anche ieri appunto a Bergamo: procedere alla vaccinazione generale in tutti i modi, usando tutti i vaccini e se qualcuno difetta sostituendolo con altri. Ogni riferimento ad Astrazeneca è voluto. Giusto.

Però la forza del messaggio, il potere e la capacità di convincimento cambiano se la platea si allarga fino a ricomprendere tutto il Paese. Come pure non è la stessa cosa se le modalità del dispiegamento dello sforzo vaccinale le illustra da remoto il generale Figliuolo in uno studio televisivo oppure se lo fa il capo del governo rivolgendosi – per questo o per altri casi – con un messaggio tv specificamente rivolto ai cittadini.

Il ruolo politico del capo del governo in un sistema democratico è una esigenza ineliminabile. Draghi è senz’altro più a suo agio nei panni di presidente della Bce che tratta con persone che hanno uno spessore simile al suo. Ma è noto che Mattarella lo ha scelto perché l’Italia attraversa una crisi di sistema e una figura come la sua è la migliore per affrontarla. E così come le forze politiche devono confrontarsi con un cambio di schema concorrendo con spirito unitario allo sforzo di rimettere in carreggiata il Paese, mutando atteggiamenti e tatticismi per sintonizzandosi appieno con la fase che si è aperta, alla stessa stregua SuperMario è chiamato a confrontarsi con la comunicazione intendendola come lo strumento più efficace per consentire a tutti di seguirlo e sostenerlo in un percorso difficilissimo ma che è privo di alternative.

È un compito “di servizio” per così dire, che può solo aiutare a rafforzare il profilo specifico del capo del governo e l’adesione dell’opinione pubblica al piano di rilancio dell’Italia. Nell’ora più buia Churchill – che non era solo un politico ma vinse anche il Nobel per la letteratura: non un tecnico bensì un umanista – disse che prometteva sangue sudore e lacrime. Dal comandante in capo i cittadini si aspettano, ed è legittimo oltreché ineludibile ed opportuno, parole che li persuadano, li spronino, diano loro fiducia. Non può che essere Draghi a pronunciarle. E comunicarle nel modo più accessibile a tutti.


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