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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

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LA POLITICA archivia senza sorprese la vicenda della sfiducia individuale a Speranza: che si trattasse di un po’ di scena da parte di FdI lo sapevano tutti. Mattarella manda un messaggio di saluto al congresso degli universitari cattolici ricordando la fucina di dirigenti politici che è stata per l’Italia. Ovviamente non fa nomi, ma possiamo farli noi: da Moro e Andreotti giù giù fino a quelli confluiti nelle formazioni della sinistra post 1992 (Tonini, Ceccanti, Vassallo, giusto per ricordarne alcuni). Anche questo fa parte dei rituali positivi, perché è un’occasione per ribattere su due temi che sono cari all’attuale inquilino del Colle, il ruolo dei giovani e l’esigenza di una solidarietà nazionale di fronte agli impegni che interrogano il paese.

Per il resto la vita politica non si schioda dal pestare l’acqua nel suo mortaio. Il Consiglio dei ministri licenzia il PNRR per mandarlo in tempo a Bruxelles, ma dopo qualche modesto fuoco d’artificio in occasione del dibattito parlamentare già sembra lo si sia messo nel cassetto dei dossier esauriti. Eppure sarà un tornante fondamentale, sicché converrebbe abituare l’opinione pubblica a ragionarci sopra, altrimenti il famoso coinvolgimento del paese non si realizzerà lasciando campo libero alle resistenze passive che si preparano nell’ombra.

Tutto sembra ruotare intorno al tema della scomposizione e ricomposizione, o anche alla riconferma della attuale geografia parlamentare. L’ottica, come ogni tanto richiamano gli osservatori più acuti, è quella della scadenza per il Quirinale ad inizio del prossimo anno. Sarebbe auspicabile si ragionasse per quel ruolo in termini di mantenimento il più possibile dell’obiettivo di solidarietà nazionale (se non durante e dopo una pandemia, quando?), ma per ora si guarda di più alla vittoria dei “blocchi”. Semmai è muovendo dall’angolo di visuale di un “blocco” che si cercherà di trovare quel tanto di alleanze extra per diventare maggioranza qualora non si fosse autosufficienti.

Così si sta complicando il quadro. Sta comparendo un soggetto che si definisce “centrodestra di governo” (Lega e FI) e che punta a negoziare da posizioni di forza con FdI, ricordandole che da sola non va da nessuna parte. Naturalmente vale anche il rovescio, e dunque bisognerebbe trovare un compromesso, peraltro non si sa quanto efficace in caso di scontro per l’elezione del successore di Mattarella. Di conseguenza si guarda con attenzione a come scompaginare il fronte avversario, senza accontentarsi di vederlo scompaginarsi da solo per il marasma in cui versano ancora i Cinque Stelle. Da questo punto di vista si può agire per piccoli assaggi e contemporaneamente puntare a qualche bersaglio più grosso.

Tanto tutto può essere tenuto insieme puntando sul problema apertissimo delle iniziative per il contenimento dell’epidemia. Insistendo sul tema dell’allentamento delle restrizioni il centrodestra di governo può sfruttare le perplessità che esistono nell’altro campo su una politica ideologicamente rigorista che si rivela sempre più di difficile applicazione (e questo è maggiormente dirimente che non una valutazione se in astratto sarebbe la più indicata: la politica si fa sul concreto). Poi c’è il bersaglio grosso della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia. Con quello strumento si può mettere in piedi un bel teatrino in cui tanto l’esperienza del governo Conte 2 quanto la prosecuzione più o meno di quella politica nella primissima fase del governo Draghi possono essere messe sul banco degli imputati.

Significherà dar fuoco alle polveri e vedere se davvero tutti si compatteranno a difendere tutto, incluse alcune linee non proprio difendibili senza riserve. In questi casi però si sa benissimo che i “distinguo”, che sono prerogativa delle persone assennate, non reggono nel fuoco delle demagogie dei tribunali del popolo. Col suo fiuto per questo genere di cose se ne è accorto Renzi che su riaperture e commissione d’inchiesta sembra non allontanarsi troppo dalle impostazioni di Salvini. Perché vuole andare da quella parte? Non lo crediamo proprio, non fosse altro perché il 3% scarso di cui è accreditato si ridurrebbe a meno della metà. Semplicemente il senatore di Rignano ricorda al centrosinistra che continua a pensare di buttarlo fuori, la scarsa convenienza di questa operazione proprio in vista della battaglia per il Colle, dove non contano i consensi ipotizzati dai sondaggi, ma i numeri di cui si dispone in parlamento.

Dunque il PD pensi bene se gli conviene far sommare alle capacità di mobilitazione parlamentare del Matteo della Lega quelle del Matteo di Italia Viva. Potrebbe così ingraziarsi Conte e magari anche LeU, ma perdere truppe importanti. Tutti sanno che ogni mossa di questi tempi impatta sulla preparazione della campagna elettorale d’autunno che viene prima di quella per il Quirinale, ma si sa anche che la prima sarà la prova provata dello stato di salute del M5S modello Conte.

Se i Cinque Stelle usciranno molto ridimensionati da quelle urne, tutte le strategie per la gestione del “semestre bianco” andranno riviste, fino al rischio di una crisi del governo Draghi, non tanto per l’uscita della Lega quanto per l’impatto del voto sullo sbandamento dei pentastellati. Chi ha in mente questo scenario non è tranquillo sulla gestione dei fondi del PNRR che si potrebbero iniziare ad avere in prima tranche forse già a luglio. Confidiamo in Draghi e nella sua squadra, ma se non gli si creassero tutte le difficoltà possibili sarebbe meglio.


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