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Il ministro per il Sud Mara Carfagna

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IL SISTEMA idrico meridionale fa acqua da tutte le parti: l’espressione “fotografa” la condizione di una rete colabrodo, che perde il 47% dell’acqua immessa, con picchi del 60% in alcuni capoluoghi siciliani e campani. Cui fa da contraltare il dato del Nord, dove le perdite si attestano al 28%. Una situazione che alimenta il divario di cittadinanza tra le due Italie, incidendo sulla qualità della vita: basti pensare che il 20% dei cittadini meridionali devono fare i conti con l’interruzione del servizio idrico, e se si vive in Calabria la percentuale sale al 36%.

Ma non solo, «incide anche sulla capacità delle imprese, mentre la debolezza del sistema industriale meridionale in questo ambito è anche un pezzo del divario di sviluppo».

LO SQUILIBRIO

I dati sono contenuti nel rapporto Svimez-Utilitalia presentato nel corso del webinar sul tema “Pnrr: Investimenti e nuove politiche per un moderno servizio idrico nel Mezzogiorno”, le osservazioni sono del direttore generale di Svimez, Luca Bianchi, che ha chiamato in causa un sistema infrastrutturale, quello meridionale, meno strutturato, la mancata applicazione della normativa nazionale – la legge Galli – con il mantenimento della gestione del servizio idrico in mano ai Comuni. E soprattutto il gap negli investimenti: si parte da un dato italiano già molto inferiore rispetto alla media europea, ovvero 39 euro per abitante contro 90.

Il dato del Centro Nord è in linea con quello nazionale, ma alSud si arriva a un investimento medio di 26 euro pro-capite, e si scende  tra i 4 e i 7 (2015-2016) nelle gestioni comunali in economia, ovvero con la gestione diretta da parte dei Comuni. E le conseguenze sulla qualità del servizio sono evidenti.

Per riequilibrare questo divario, ha sostenuto Bianchi, occorrerebbe destinare alle imprese meridionali un finanziamento aggiuntivo di quasi 3 miliardi. Se poi si volesse compensare in termini pro-capite il valore cumulato degli investimenti realizzati a partire dal 2000, ne servirebbero circa 4, con impatti maggiori in Sicilia, Campania e Calabria.

GLI EFFETTI SUL PIL E SULL’OCCUPAZIONE

Intanto, secondo il modello Nmods della Svimez, un piano di investimenti aggiuntivi per 3 miliardi genererebbe un incremento del Pil dello 0,3% in Italia, con un significativo recupero del Mezzogiorno, mentre nel triennio 2021-2023 la maggiore crescita cumulata del Pil del Sud sarebbe +1,1%, contro +0,1% previsto per il Centro-Nord. Gli investimenti crederebbero, poi, 40 mila posti di lavoro nel Meridione e 5 mila nel Centro Nord.

L’analisi rivela anche il differenziale nel grado di maturità dell’industria «che – ha sottolineato Michaela Castelli, presidente di Utilitalia – ha un impatto non più sostenibile sulla qualità del servizio erogato». I numeri, come ha evidenziato Castelli, mostrano «un divario importante» sia in termini di fatturato per addetto (260 mila euro al Centro Nord, contro 184 mila al Sud) sia di produttività lorda (134 mila euro contro 95 mila). Inoltre, le imprese impiegano in media 30 addetti nel Mezzogiorno, 50 nel resto della Penisola. Ancora, oltre un terzo del valore della gestione del servizio idrico è svolto al Sud direttamente dai Comuni – e in alcune regioni, tra cui Calabria e Sicilia si arriva al 50% – solo il 7,2% al Centro Nord.

Gli investimenti sono quindi solo una parte del problema. L’altra riguarda la governance su cui Bianchi e Castelli richiedono un intervento del governo per vincere le resistenze dei Comuni a trasferire il servizio, e spingere le Regioni a definire gli ambiti territoriali (Ato). Insomma per far applicare la legge, ricorrendo anche un sistema sanzionatorio.

Si guarda al Pnrr: «Se vogliamo raccogliere la sfida di riuscire a spendere nel Mezzogiorno le risorse importanti che abbiamo di fronte, sia con Recovery Plan, sia con i fondi europei – ha detto Bianchi – bisogna operare in maniera forte sulla governance, prevedendo anche una procedura di accompagnamento verso una gestione industriale del servizio». «Cambiare le regole del gioco non è facile – ha affermato Castelli – ma si corre il rischio di non poter beneficiare a pieno delle opportunità offerte dal Pnrr per la mancanza di infrastrutture e di operatori industriali che in questa fase possano fungere da cinghia di trasmissione e attrarre investimenti e portarli a compimento. L’orizzonte temporale del Pnrr, il 2026, è molto breve».

GLI INVESTIMENTI NEL PNRR

Il Pnrr interviene su quelle che sono le principali cause del divario infrastrutturale tra Nord e Sud, ha sostenuto la ministra per il Sud, Mara Carfagna: governance e investimenti. Intanto, per migliorare il sistema idrico al Sud e ridurre il gap, «arriveranno oltre 2,2 miliardi di investimenti contenuti nel Pnrr, altri 313 milioni sono previsti nel React-EU e anticipo anche l’intenzione di inserire ulteriori risorse nel Fondo di Sviluppo e Coesione 2021-2027: insomma siamo oltre i 2,5 miliardi già programmati e altri ne arriveranno», ha affermato la ministra.

Ma per centrare l’obiettivo bisogna intervenire sulla governance: «Dove c’è una gestione diretta del servizio idrico da parte dei Comuni – ha spiegato Carfagna – i risultati in termini di investimenti, di qualità del servizio e di soddisfazione dei cittadini sono peggiori. Per questo, il Pnrr promuove la costituzione degli Ato e la gestione industriale, pubblica o privata, del servizio».

Tanto più, ha sottolineato, che se non si costituiranno gli Ato, se non si individuerà un gestore integrato e se non si presenteranno progetti concreti si rischia di non poter accedere ai finanziamenti previsti nel Recovery Plan. «Non sarà semplice, sappiamo che ci saranno ostilità e pregiudizi che proveranno a bloccare il raggiungimento di questi obiettivi ambiziosi – ha affermato – ma non possiamo permetterci di sprecare questa occasione per la demagogia di qualche politico o di qualche associazione».


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