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IL NODO del parlamento rimane intatto davanti al governo Draghi. Il premier aveva detto di esserne consapevole già nel suo discorso sulla fiducia, ma certo la prova che ora ha davanti non è delle più semplici, perché non si tratta di trovare consenso su alcuni temi e alcune strategie d’intervento, ma di trovare il modo di sganciarsi dal coinvolgimento nel confronto muscolare a cui i partiti non riescono proprio a rinunciare.

Consideriamo quanto sta succedendo attorno al DDL Zan, dove diventa sempre più evidente che ormai si tratta di un confronto macchiavellico fra i partiti. Letta insiste nel non cedere ad un accordo con la Lega e con Renzi sulla revisione di alcuni articoli, perché non vuole apparire come dipendente dalla destra, ma soprattutto non vuole ammettere che Renzi conduca la strategia del gioco. Pensa che se riuscirà a far egualmente passare la legge imponendosi ne uscirà rafforzato, in caso contrario getterà ogni colpa addosso a Renzi (cosa che non gli dispiace affatto). 

Salvini insiste nell’offrirsi come un mediatore onesto che ha cuore solo la conclusione della partita, perché ritiene che la sua posizione sia comunque vincente: se si arriverà all’accordo grazie al suo intervento avrà demolito un poco l’immagine del “truce” (tradizionalista), se la sua mediazione fallirà la colpa sarà del massimalismo del PD a trazione lettiana. Renzi cerca di sfruttare tutte le posizioni a suo favore: da un lato si accredita come quello che sa bene come funziona il parlamento e ragiona di conseguenza anziché mettersi a giocare con le bandierine; dal lato opposto rimarca che si è staccato dal PD perché non poteva seguirne la deriva massimalista.

In questo contesto gli altri partiti stanno a guardare o al massimo si allineano come FI dietro la Lega e IV e M5S dietro il PD, ma con scarsa incisività. Proprio la posizione del nuovo vertice pentastellato è una incognita. Conte ha in passato e forse ha ancora agganci in vari ambienti delle gerarchie cattoliche e dunque potrebbe non essere troppo interessato a perdere elettorato futuro per una battaglia sempre più fumosamente ideologica. Non può neppure fare ufficialmente la parte di quello che lascia Letta nei guai, per cui fa il pesce in barile e vede come andrà.

Si rileva così un quadro di tensioni costanti fra i partiti che è improbabile si sciolga davanti alle esigenze delle riforme per l’avvio del PNRR. La situazione si è riproposta nella designazione del nuovo CdA della RAI e anche qui vedremo come andrà a finire, perché spazi per i colpi di mano nell’iter parlamentare ce ne sono. Ma ovviamente la madre di tutte le battaglie sarà quella sulla riforma Cartabia, dove più il tempo passa più si consolidano i diversi arroccamenti.

L’ultima voce è che Conte, che è finalmente riuscito a farsi ricevere da Draghi come capo di M5S (sulla base di cosa non sappiamo, visto che non si è votato nulla né da parte della base né da parte dei parlamentari), stia valutando una astensione dei pentastellati sulla riforma promossa dal governo di cui pure il partito è parte. Sarebbe una soluzione bizantina, che non accrescerebbe certo il prestigio dell’ex premier, visto che deve arrendersi a sostenere le tesi bislacche del suo amico Bonafede e dei suoi pretoriani dentro e fuori il movimento. Creerebbe non poche difficoltà al PD che non può, per decenza, riconoscere al giustizialismo grillino una legittimazione di qualche tipo. Affrontare i passaggi parlamentari di fine anno in questo clima, che pensiamo sarà peggiorato dall’andamento delle amministrative d’autunno, non sarà una passeggiata.

E’ vero però che la statura di Draghi come leader politico e non semplicemente come tecnico di alto livello è in continua crescita. I successi finora raggiunti nel rimettere in ordine gli interventi contro le pandemia e quanto vi era connesso già vi avevano contribuito, ma due fatti recenti, tra loro molto diversi, ne hanno rinsaldato il carisma. Il primo è il suo intervento in occasione della vittoria della nostra nazionale di calcio agli Europei, dove ha mostrato una rimarchevole capacità di mettersi sulla lunghezza d’onda del sentimento popolare. Il secondo è la sua visita al carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove ha pronunciato un discorso di forte impianto etico-politico, ma soprattutto ha compiuto un atto di presenza su un tema fondamentale la cui portata non può essere sottovalutata. In questo contesto anche il suo incontro con una delegazione degli operai della Whirpool è stato un momento di testimonianza della consapevolezza di cosa significa governare una nazione.

Questa crescita del ruolo di Draghi è una componente da non sottovalutare nella gestione del passaggio politico dell’ultimo trimestre dell’anno. Naturalmente non mancano le incognite, su cui puntano i nemici più o meno occulti dell’attuale governo: se l’epidemia dovesse riprendere forza e si rendessero necessarie nuove misure di contenimento sarebbe possibile che il consenso al governo ne risentisse, così come se ci fosse un inasprirsi della crisi occupazionale.

Rimane invece probabile che in assenza di fenomeni negativi Draghi consolidi ulteriormente la sua posizione e allora i partiti che invece di averlo aiutato nella ripresa dell’Italia hanno passato il tempo ad azzuffarsi fra loro non si troveranno in una buona posizione nei confronti dell’opinione pubblica. E in democrazia questa non sarebbe una condizione felice.


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