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Il ministro Marta Cartabia

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Procede il confronto politico per giungere a sbrogliare la matassa della riforma della giustizia. Non che sia un dibattito di sostanza. Non si capisce infatti perché dovremmo certificare con legge di essere un paese che non riesce a chiudere i processi in tempi ragionevoli: perché abbiamo la peggiore criminalità al mondo (un po’ difficile da credere) o perché abbiamo una macchina giudiziaria che non riesce a funzionare nei tempi dovuti? Poiché incliniamo a credere alla seconda spiegazione, vorremmo che i vari difensori della abolizione della prescrizione, fra cui stanno anche insigni magistrati (meno, ci sembra, costituzionalisti e giuristi), anziché chiedere di garantire ai processi tempi lunghi lavorassero per proporre normative che rendessero possibile chiuderli in tempi ragionevoli (visto poi che a volte ce la facciamo …).

Di questi tempi è pretendere molto, perché la pigrizia intellettuale fa parte dell’umana natura, come sanno tutti quelli che si sono occupati di storia delle riforme. Ci si aggiungono come è inevitabile le impuntature sulle bandierine che ogni forza politica ha piantato su questo come su altri campi. Allora avanti a trovare il cosiddetto “punto di caduta”, che in realtà è un artifizio per ottenere una resa onorevole da parte degli avversari. E’ quanto è necessario qualora sia troppo rischioso insistere per una resa senza condizioni: allungherebbe una guerra con esiti poco felici (e in tempi di grande coalizione emergenziale, se si può, si deve evitare).

Ieri sembrava che il compromesso si potesse raggiungere, estendendo la “lunga durata” a tutti i processi per mafia e per terrorismo (ma qualcuno vuole ancora ampliare aggiungendoci la corruzione nella pubblica amministrazione). Ovviamente si va al di là dei reati di omicidio che già sono imprescrittibili e così un qualche rischio c’è, perché non si può escludere che per avere più tempo a disposizione si etichettino come mafia e terrorismo anche fattispecie quantomeno dubbie sotto quel profilo: anche qui storie già viste.

Tuttavia se si riuscisse a chiudere su questo compromesso non sarebbe neppure male. Fissato che nella “normalità” il procedimento penale deve chiudersi in tempi ragionevoli e fissati, si genererà, grazie all’evoluzione del costume giuridico e delle sensibilità (il populismo giustizialista progressivamente sarà messo in un angolo), una tendenza predominante a parametrarsi su quanto stabilisce la riforma Cartabia. Non sarà facile, perché è evidente che sono all’opera le consuete spinte ad approfittare della situazione da parte degli irriducibili dei due fronti, ma è da sperare che il vincolo esterno del Recovery europeo conduca tutti a più miti pretese.

Per la verità siamo colpiti dal fatto che troppi esponenti politici, ma anche magistrati, commentatori, ecc., non valutino il danno di immagine verso l’Europa (e non solo) che questo dibattito comporta: già non siamo considerati il paese dell’efficienza, ci mancava solo che ci fosse chi sostiene ufficialmente che da noi sia impossibile almeno nel settore della giustizia puntare ad essere normali.

Del resto non c’è da meravigliarci viste le difficoltà complessive che ci sono in tanti altri campi. Prendete il provvedimento sulla concorrenza che deve anch’esso andare in aula entro questo mese. Anche qui sono anni che la UE ci chiede di mettere un po’ di razionalità in prassi e normative che tendono a favorire competizioni chiuse nel circuito degli “amici” di chi gestisce i bandi e sono anni che non si fanno passi avanti (qualcuno ricorda la direttiva Bolkenstein sulle concessioni balneari?). Pure in questi casi tutto viene bloccato col terrorismo sui vantaggi che si darebbero alle mafie e ai cartelli se si arrivasse ad aprire il mercato dei servizi pubblici alla libera concorrenza.

Qualche problema c’è di sicuro, ma non è certo combattendo quei fenomeni colla limitazione o colla complicazione del sistema delle assegnazioni per concorrenza che si tutelano le possibilità dei cittadini di avere migliori servizi a costi più contenuti.

Si può andare avanti in questo elenco, ma basterà chiedersi cosa succederà quando a settembre dovremo affrontare i temi della riforma del fisco e di quella della pubblica amministrazione. Non ci vuol molto a capire che su questioni così delicate non si andrà avanti se non si arriva ad un contesto dove si condividono almeno i quadri generali e si smette di inseguire ogni frammento di consenso da parte delle lobby.

Da questo punto di vista quanto sta succedendo col green pass e con le normative per il contenimento dell’epidemia è indicativo. Che senso ha difendere la libertà altrui di considerare un proprio errore come una verità che gli altri devono accettare? Se si dice che chiunque ha diritto di sostenere che 2+2=6 ci può anche stare, ma sarebbe un disastro se ciò significasse che allora gli è consentito di non accettare tutti i calcoli in cui 2+2=4, cioè le regole vigenti e normali che consentono di gestire i rapporti di una collettività. Eppure, se ci pensate, una parte non piccola della classe politica, ma anche dei talk show e dei media è esattamente quel che sta facendo.

Difficile promuovere rinascita e resilienza se non si affrontano questi problemi alla radice.


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