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MEDICI di famiglia serie A e medici di serie B. Disparità nell’assistenza ai pazienti, differenze nelle risorse disponibili, trattamenti economici per i camici bianchi che variano da un territorio all’altro. La solita storia, il paese Arlecchino. Sembra assurdo che dopo la pandemia ci sia ancora una Italia a colori in barba a qualsiasi evidenza. Ma è quello che prevede la bozza di Accordo collettivo nazionale per i medici di medicina generale approvata dalla Conferenza delle regioni.

Un’impostazione urticante che ha spinto il Sindacato medici italiani (Smi) a prendere carta e penna e scrivere una lettera aperta al presidente della Conferenza Massimiliano Fedriga. Il documento affronta temi strategici quelli l’organizzazione sul territorio della medicina di base. Un tasto dolente, il tallone d’Achille, la debolezza che in alcune regioni ha spianato la strada al Covid. L’accordo va in direzione opposta e contraria.

“Il contratto deve essere unico, le garanzie devono essere uguali per tutti – ribadisce Pina Onotri, segretaria nazionale Smi – se i livelli di assistenza devono essere uniformi su tutto il territorio nazionale anche le retribuzioni devono esserlo. Noi non vogliamo più che via sia una parte variabile dello stipendio del 30 per cento bensì una parte fissa ben strutturata e uguale per tutti da Nord a Sud, una parte corrispondente a compiti ben precisi individuati nell’ambito dell’accordo collettivo nazionale”.

PINA ONOTRI: IN ALCUNE REGIONI LE CURE PRIMARIE AI PRIVATI

Distinzioni incomprensibili che ricadono in modo inevitabile sui livelli di assistenza. “Noi abbiamo sempre percepito delle quote regionali – spiega ancora Onotri – quote servite per finanziare l’assunzione di personale di studio, infermieri o per aggregare gruppi di professionisti. Ora questa quota di fondi a disposizione sarà vincolata a obiettivi regionale. Non c’è un aumento di quota capitaria se non minima. Non verranno incentivate le forme di aggregazione E dopo 12 anni e dopo una pandemia non percepiremo nulla in più”.

Nel documento presentato delle regioni si parla delle case di comunità dove impiegare un quarto dei medici di medicina generale operanti sul territorio. Non si chiarisce però che fine faranno gli altri 34 mila sparsi tra le diverse regioni. “Ci sono regioni che stanno già attuando piani di accreditamento per player privati esterni dando in gestione le cure primarie per bacini di utenze particolari”, lancia l’allarme lo Smi. Non è questioni da racchiudere dentro un ambito esclusivamente sindacale. C’è molto altro. C’è il consesso dei governatori che anziché cambiare passo e cogliere gli insegnamenti della pandemie vuole disarticolare ulteriormente la sanità nazionale. Presidenti delle regioni che si muovono all’unisono come una allegra carovana lasciandosi alle spalle i disastri del Covid 19.

“Nella bozza di accordo – si legga nella lettera del Sindacato medici italiani – addirittura vengono introdotti elementi di arretramento retributivo e gestionali: gli aumenti sono vincolati alla parte variabile della retribuzione”, e dunque alle disponibilità delle singole regioni “generando disparità di trattamento e disuguaglianze nell’offerta di salute dei cittadini”.

La lettera è stata firmata anche da Andrea Filippi, segretario nazionale Fp Cgil Medici e dirigenti Ssn e da Mauro Mazzoni, segretario nazionale Simet. A prevalere sono state le vecchie logiche organizzative – si lamenta nel documento – le stesse logiche che nella pandemia si sono dimostrate inadeguate a sostenere il lavoro dei professionisti. L’auspicio è che venga aperto un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali “per costruire insieme un programma di riforma che sia coerente con le esigenze contrattuali dell’Accordo nazionale collettivo e quelle organizzate del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

GLI ACCORDI INTEGRATIVI

Lo scontro si concentra sulla “Quota per servizi”. La parte contrattuale che prevede tra l’altro l’assistenza domiciliare e l’assistenza domiciliare integrata. Prestazioni annualmente programmate dalle regioni che non dovrebbero superare il 20% dei compensi mensili “salvo diversi accordi regionali”. Gli accordi regionali – è scritto nella bozza – possono prevedere eventuali quote per attività e compiti per l’esercizio proprio di livelli essenziali di assistenza diversi dall’assistenza primaria nonché per zone identificate dalle regioni come disagiatissime o disagiate”.

Il che vuol dire una parte di retribuzione con una quota oraria uguale per tutti, e un0altra parte da negoziare con l’ente locale di appartenenza. Le eventuali integrazioni, dunque, verrebbero stabilite con accordi integrativi regionali. A fare la differenza sarebbe dunque le risorse che ogni singola regione può mettere a disposizione delle medicina generale. Senza dire che il in alcune zone spopolate del Paese, specie le are interne, il calcolo della retribuzione basato sul numero degli assistiti continuerà ad essere penalizzante.

Dopo lo smantellamento dei servizi sanitari pubblici, ecco la retrocessione in serie B. La stagione difficile dei medici di famiglia del Mezzogiorno continua.


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