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Luca Zaia e Massimiliano Fedriga

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Il patto dei governatori del Nord è già scritto. C’è già la spada nella roccia. Se i candidati del centrodestra perderanno al ballottaggio anche a Roma e Torino si tornerà alla casella di partenza. Alle battaglie identitarie, all’autonomia differenziata, alle richieste che le regioni più ricche, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna portano avanti da tempo bussando a quattrini. Con buona pace di Matteo Salvini; disotterrando l’ascia di guerra ma continuando a stare al governo secondo il vecchio modello bossiano.

E mentre si consolida l’asse dei governatori tutto interno al Carroccio e si strizza l’occhio al ministro Giancarlo Giorgetti, a preoccupare i presidenti delle regioni è anche la sovraimposta che sostituirà l’addizionale comunale e regionale Irpef. Non bastasse il catasto che li tiene in ansia In una prima stesura della bozza si attribuisce al governo la delega ad attuare una revisione prevedendo “per le regioni sottoposte a piani di rientro per disavanzi sanitari un incremento obbligatorio”. Non è chiaro se il gettito resterà invariato o se in questo modo ci saranno enti locali più penalizzati di altri. Il testo è all’esame del Consiglio dei ministri ma c’è già chi, prevenuto, ha alzato le antenne.

A riscaldare gli animi è sempre però il risultato delle elezioni. Sul banco degli imputati è stato virtualmente convocato Salvini. I social sovranisti ribollono. E al contrario di quello che potrebbe sembrare un processo kafkiano in questo caso non c’è un tribunale misterioso e un’accusa indistinta. Il capitano conosce benissimo chi sta puntandogli il dito contro e conosce per filo e per segno i capi di imputazione. Non sarà semplice dimostrare la sua innocenza.

Gli si rimprovera di essersi messo con le sue felpe extra large al centro del progetto. Lui in primo piano e sullo sfondo impercettibile il Carroccio. Di aver scelto i candidati sbagliati. Di voler fare l’opposizione stando al governo. E stare al governo pensando di fare l’opposizione. Di aver sconfinato nel perimetro nero della Meloni, una che “sarà anche brava ma è pur sempre romana”. Per non parlare delle questioni legate al caso Morisi che rischiano di logorarne l’immagine. Ammesso e non concesso che la notte del 14 agosto non siano stati commessi reati, per il popolo della Lega l’ideatore della Bestia sarà sempre colpevole. Almeno quanto il suo “capo” che ha trasformato la Lega Nord nel partito di Salvini e si è messo a flirtare con chi si batte contro il Green pass.

Ora si vorrebbe fare l’operazione inversa. Togliergli i caporali dalla divisa senza però degradarlo in pubblico e all’istante. Una dismissione a fuoco lento. “Il leader è ancora lui”, si è alzato il coro all’indomani della batosta. Dove l’accento va posto su quell’ “ancora”, che forse vuol dire “ancora per poco”. Si ricomincia, dunque, come se non fosse successo niente. Come se a Milano, Bologna e a Napoli il centrosinistra non avesse stravinto. Come se a Roma il civis romanus Enrico Michetti stesse reggendo le briglie della sua biga dando la polvere a tutti.

Come vanno a finire queste storie lo sappiamo. Gli amici di ieri che diventano i principali avversari. Gli stessi che lo omaggiavano tutte le volte che i sondaggi salivano di qualche punto in percentuale ora con puntiglio pedagogico rispolverano quella che per loro è rimasta la “rivoluzione incompiuta”. Riaffiora così la liturgia dell’autonomia, quell’intreccio di materiale d’archivio relegato in cantina. Chi mentre il Capitano sbarcava in Sicilia suonava l’Eroica di Chopin oggi lo accusa di aver tradito la causa padana. Di essersi trasformato in un verbo intransitivo, un accessorio marginale del governo Draghi.

Non c’è un trama precisa. I custodi della sacra ampolla padana per il momento restano allineati e coperti. “Non ci sono due Leghe, la Lega è una sola”, prova a smentire le divisioni Luca Zaia. “Il dibattito è logico che ci sia come sempre in un grande partito, poi le visioni del segretario e degli amministratori – ammette il governatore veneto – sono ovviamente diverse, d’altra parte anche Bossi parlava di una Lega di lotta e di governo”.

Per paradosso la sconfitta elettorale ha rafforzato il doge di Palazzo Balbi. La notizia secondo la quale insieme a Giorgetti starebbe cospirando per portare Massimiliano Fedriga alla segreteria del partito viene bollata da Zaia come “pura invenzione”, “Il segretario deve fare il segretario e gli amministratori gli amministratori altrimenti si fa un gran confusione”. E le polemiche ? “Hanno riguardato tutti i partiti e probabilmente non saranno finite”.

Zaia è il principale indiziato. Insieme al suo collega lombardo Attilio Fontana ha dato l’incarico ad alcuni tecnici di mettere giù una bozza da sottoporre al ministro degli Affari regionali Mariastella Gelmini. Ci sono le materie da devolvere alle regioni che hanno fatto richiesta di autonomia differenziata, il tracciato da percorrere per riesumare un progetto abortito ancora prima che il Covid gli desse il colpo mortale. “Domani (oggi per chi legge, ndr) non sarò a Roma per incontrare i parlamentari della Lega ma a Treviso per appuntamenti fissati da tempo. Ieri la mia giornata è stata scandita da questa notizia destituita da ogni fondamento che mi ha fatto sorridere”.

Basta una telefonata. Tutto è sapere chi ci sarà all’altro capo del filo. Per ora Giorgetti è troppo preso dalle questioni di governo. Lo preoccupano molto di più le divisioni che potrebbero insorgere sulla riforma del catasto che i temi legati all’autonomia. “Una passione fredda” che per il momento può attendere. L’asse con i governatori fatalmente passa proprio da Roma. Se Enrico Michetti non sfonda lo switch sarà inevitabile.

Il patto dei governatori del Nord per rilanciare il progetto di autonomia è già scritto. Per ora tutto ruota intorno alla delega fiscale che è sul tavolo della cabina di regia all’esame del Cdm. Il governo infatti potrebbe avere una delega ad una “revisione delle addizionali comunali e regionali Irpef e sostituire l’attuale addizionale con una sovraimposta sull’Irpef la cui aliquota può essere diminuita o aumentata dalle regioni entro limiti prefissati. La sostituzione dovrà garantire che con l’applicazione delle nuova aliquota di base della sovraimposta le regioni ottengano nel loro complesso lo stesso gettito che avrebbero acquisito applicando l’aliquota di base dell’addizionale regionale Irpef stabilita dalla legge statale”. I limiti di manovrabilità resterebbero in pratica gli stessi. Le entrate per i comuni non dovrebbero subire variazioni. Ma di questi tempi nessuno si fida più di nessuno.


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