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Luca Zaia

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RAGIONIAMOCI sopra è il titolo del libro dato di recente alle stampe da Luca Zaia. Il frutto di una riflessione che dal suo punto di vista non fa una grinza, “dateci l’autonomia e aiuteremo il Mezzogiorno”.

Ma è poco meno di una provocazione: era dai tempi del nostro colonialismo straccione che nessuno teorizzava qualcosa del genere. La tesi in base alla quale se l’autonomia si traducesse per le regioni del Nord in un aumento del Pil, e quindi in un maggior gettito fiscale, una parte potrebbe confluire in un fondo di solidarietà vincolato ad obiettivi specifici, “ad esempio per il potenziamento della Sanità nel Meridione”. Come se, dopo un ricco buffet, satolli e appagati, lasciassimo sul tavolo la mancia ai camerieri.

Il Mezzogiorno non ha bisogno di questo. No grazie. Ma Zaia dice anche altre cose. Che se il Veneto trattenesse più entrate a guadagnarci sarebbe anche il Sud. Che vuol dire Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, regioni che nel magnifico mondo del governatore veneto potrebbero chiamarsi anche Somalia, Eritrea, Libia senza modificare di un millimetro il concetto. Siamo all’Impero. Alle colonie o andando più indietro alle conquiste delle città marinare.

Ma così parlò l’inquilino di Palazzo Balbi. Che i governatori siano stati travolti da un surplus di protagonismo è un dato acclarato e noi lo raccontiamo tutti i giorni. Solo così si spiega come mai Luca Zaia si sia sentito in obbligo di vergare di suo pugno una biografia. Un autoritratto che ricalca il format in uso di questi tempi. La vita privata, gli studi, le aggressioni dei bulli, la passione per i cavalli e i bulldog, l’insonnia e i sacrifici di chi ha affrontato ogni difficoltà con spirito umile.

DA “IO SONO LUCA” AL “POIANA”

Per intenderci: se il titolo fosse stato “Io sono Luca”, nulla da dire, l’unica a recriminare avrebbe potuto essere tutt’al più Giorgia Meloni che di queste narrazioni melense ha il copyright. “Io un leader? Solo un amministratore perché tale mi sento”. L’uomo che ha avuto paura nei primi giorni della pandemia ma si è rimboccato le maniche. L’uomo “dalle umili origini”, “la famiglia segnata dall’esperienza dell’emigrazione e del duro lavoro”. Fino alla scoperta “la vocazione al servizio delle istituzioni come riscatto per la sua gente”.

Dentro c’è tutta la retorica del “Poiana”, il personaggio straordinario contadino interpretato in modo geniale da Andrea Pennacchi. Dentro questa cornice non poteva mancare l’omaggio alla Liga veneta, il racconto degli esordi, il giovane Zaia in politica. Un omaggio che arriva all’indomani dell’accordo che ha consentito di formare a Palazzo Balbi un unico gruppo con la Lega per Salvini. I secessionisti di ieri, quelli della sacra ampolla immersa nel sacro Po, i fanatici dell’autonomia separatista, sul Carroccio del Capitano. Una riconciliazione dopo gli anni dello scisma. Ed è uno dei motivi per cui Zaia è tornato alla carica chiedendo che a 4 anni dal referendum l’autonomia tornasse d’attualità.

“Ho dedicato la mia vita – scrive – a questo tema perché ritengo che i cittadini che compongono una realtà territoriale debbano essere protagonisti della loro vita di popolo e del loro futuro”. E ancora rivolto al Palazzo: “Nelle Aule romane devono capire che il modello gestionale centralistico del Paese non funziona più, non può funzionare”. Poi però Zaia fa l’esempio sbagliato. Cita la sanità, il modo in cui è stata gestita in Veneto, regione che dopo un inizio disastroso si era messa in salvo grazie alle intuizioni del virologo Andrea Crisanti, esautorato e cacciato via (strana forma di ringraziamento). È vero esattamente il contrario. La Pandemia ha sancito casomai il fallimento di quel modello, delle 20 sanità differenziate, delle regione in ordine sparso, un errore da non ripetere nella quarta ondata. Ma “il ragazzo della Marca trevigiana diventato ministro delle Politiche agricole a soli quarant’anni”, non la pensa così.

Dalle colline inondate di Prosecco, patrimonio Unesco, ora che ha 53 anni, vuol lanciare un messaggio che va in senso opposto. Vuole rimettere in pista quell’autonomia “che è la chiave per la transizione verso il federalismo regionale”. Il suo chiodo fisso. Ieri l’altro ne ha parlato a quattrocchi con Matteo Salvini; segretamente confida nel sostegno che la ministra agli Affari regionali, la lombarda Mariastella Gelmini, gli ha garantito. Zaia ora un peso politico, e vuol farlo contare. Ha stretto un legame con Attilio Fontana, il collega leghista che guida la regione Lombardia. Non è più l’adolescente bullizzato, il ragazzino “pieno di lentiggini”, quello che “veniva pure pestato”, che “le prendeva e non reagiva”- Anche se non è mai stato “un eroe di prestanza fisica” ora potrebbe indossare gli stivaloni e mostrare i muscoli.

“SBAGLIATO INVESTIRE IL 40% DEL PNRR NEL SUD”

Il Mezzogiorno secondo Zaia è immerso in “una spirale senza fine”, persino “le continue emigrazioni dei giovani verso l’Europa” anziché essere un problema, una fuga di risorse, sono la prova di un fallimento. La dimostrazione di un modello sbagliato. Ed ecco quindi il vero obiettivo: il Pnrr “da ripensare”. È lì che il Supergovernatore vuole andare a parare, “la logica che destina il 40% degli investimenti al Sud rischia di rivelarsi fragile, perché quando si fanno investimenti quello che conta è che siano realmente funzionali e in grado di fare da propellente per uno sviluppo autonomo”.

Chi non investe in Veneto o nel Nordest , dunque, sbaglia. Per l’ex delfino di Galan poco importa se il Piano di ripresa e resilienza ruoti intorno alle disuguaglianze. Nella sua grammatica questa parola non esiste. In compenso ci sono gli sghei. Che a quanto pare, secondo l’ultimo rapporto di Bankitalia, stanno di nuovo affluendo numerosi nelle casse venete. Entro la fine dell’anno si potrà forse recuperare tutto il Pil perso nella pandemia. Nei depositi bancari regionali ci sono 152, 2 miliardi, 22,5 miliardi rispetto al 2019 anno pre-Covid. Turismo, manifattura, incremento dei mutui e dei consumi.

Gli indicatori dicono che il Veneto dopo la Pandemia va a gonfie vele, è ancora più ricco, mentre nel Mezzogiorno sono tutti più poveri di prima. Già:  ragioniamoci sopra.


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