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L'aula della Camera

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Nel mese di dicembre 2021 abbiamo avuto modo di leggere in più comunicati stampa, in più interviste di diversi Ministri della Repubblica e dello stesso Presidente del Consiglio Draghi che avevamo adempiuto a tutti gli obblighi imposti dalla Unione Europea, a tutti gli obiettivi imposti per poter accedere ai primi acconti finanziari previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR).

Ultimamente la Fondazione Openpolis, in collaborazione con il Gran Sasso Science Institute, ha fatto presente che su 58 scadenze solo 9 sono state portate a termine, 17 sono a buon punto e le rimanenti 32 sono ancora “in corso”.
Tra i provvedimenti che procedono con maggiore fatica ci sono alcune riforme chiave come la revisione del Codice Appalti, l’entrata in vigore del Decreto ministeriale per il programma nazionale di gestione dei rifiuti e la riforma della carriera degli insegnanti, la strategia nazionale per l’economia circolare o l’aggiudicazione dei contratti di ricerca e sviluppo sull’idrogeno, il nuovo modello organizzativo dell’assistenza sanitaria territoriale.

Ci preoccupa la dichiarazione di Vincenzo Smaldore, uno dei responsabili, della Fondazione Openpolis, che tra l’altro ribadisce: “Il dato più clamoroso, al momento, è l’ingorgo di leggi da licenziare nelle prossime settimane e delle riforme da approvare entro la fine di giugno; ne sono state varate solo la metà e siccome senza quelle riforme non arriveranno i soldi europei, è probabile che assisteremo in Parlamento a una corsa contro il tempo”.

Ma allora i miei blog, i miei articoli non erano puro terrorismo mediatico, non erano denunce utili solo per fare notizia. Le dichiarazioni sistematiche, anche su principali testate del mondo della informazione, assicuravano non solo il grande successo della Italia nel raggiungimento di tutte le riforme e di tutti gli obiettivi essenziali per poter accedere alle risorse della Unione Europea, ma addirittura avevano avuto anche piene conferme su tutto quanto era stato promesso alla stessa Unione Europea in merito proprio a delle riforme essenziali e, proprio su una delle riforme essenziali quale il richiamato Codice Appalti, ultimamente abbiamo appreso ufficialmente dal Dicastero competente quali siano le cadenze temporali previste per la sua conclusione:

Entro giugno 2022 l’entrata in vigore della Legge delega ora all’esame del Parlamento

Entro marzo 2023, l’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi

Entro giugno 2023, entrata in vigore di tutte le altre normative (primarie e sub primarie)

Entro dicembre 2023 il pieno funzionamento del sistema nazionale di e-procurement

In realtà sembra quasi che quanto richiesto dalla Unione Europea nel momento in cui ha approvato il PNRR, sembra quasi che gli impegni assunti sulla garanzia che il provvedimento delega sul Codice Appalti sarebbe stato varato entro il 31 dicembre del 2022, sembra quasi che gli impegni assunti dal Governo di poter disporre del provvedimento supportato dalle normative primarie e sub primarie entro giugno 2022, saranno tutti impegni disattesi e, addirittura, tutto potrà forse essere compiutamente concluso solo agli inizi del 2024.

Allora vengono in mente subito tutti i racconti che abbiamo avuto modo di conoscere sin dal giugno – luglio 2020. Mi riferisco all’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che di ritorno da Bruxelles volle tenere subito una conferenza stampa e con grande carica di entusiasmo comunicò: “Siamo riusciti ad ottenere dall’Unione Europea 209 miliardi di euro, entro l’anno (parliamo del 2020) otterremo una prima tranche di circa 20 – 25 miliardi di euro, e disponiamo già dell’elenco delle opere che caratterizzeranno l’intero Piano”. Le notizie erano vere ed anche la terza, quella legata all’elenco delle opere, era vera perché si trattava di tutte le opere approvate dalla Legge Obiettivo. Sono passati due anni, purtroppo, non è successo nulla. Non è successo nulla perché la Unione Europea non voleva e non vuole delle parzialità programmatiche, non vuole delle riforme pronte ed altre solo immaginate, non vuole l’impegno a progettare; la Unione Europea sin dal primo momento ha chiesto, almeno per il comparto delle infrastrutture, tre cose:

la organicità delle proposte
la trasparenza delle procedure
la misurabile capacità della spesa

Tre milestones che il Commissario Paolo Gentiloni ebbe modo di enunciare in un intervento alle Camere riunite il 19 ottobre del 2020. In quella occasione il Commissario ribadì più volte che la Unione Europea riteneva fondamentale sia il rispetto delle scadenze temporali e, al tempo stesso, sia la reale capacità della spesa. Inoltre ebbe modo di ricordare che il motore vincente per l’ottenimento di un volano di risorse così rilevante era stata la sommatoria di indicatori negativi dell’assetto socio economico del Mezzogiorno.

Finora tutte queste raccomandazioni, tutte le sistematiche comunicazioni ottimistiche sono venute meno. Ed ora oltre alla ricerca di un Piano B, oltre alla coscienza del rischio di perdere le risorse del PNRR se ne aggiunge un’altra che riporto di seguito.

Come ho avuto modo di ricordare una settimana fa siamo ormai vicini alla redazione del Disegno di Legge di assestamento di bilancio e il Ministero dell’Economia e delle Finanze resisterà, ancora una volta, a tutte le richieste di “scostamento” ritenute imprudenti anche dalla Unione Europea in quanto una simile scelta incrementerebbe ulteriormente il nostro debito pubblico e questo vincolo preoccupa perché, non avendo finora fatto partire la spesa, saremmo costretti a dover garantire annualmente, fino al 2027, una disponibilità media di risorse sul nostro bilancio di circa 40 – 45 miliardi di euro. Appare evidente che sono solo 127 miliardi le risorse a fondo perduto il resto va garantito dal bilancio ordinario dello Stato e non avendo attivato la spesa sin dal 2020 ora ci rimarranno appena tre anni per farlo con immediate ripercussioni negative sulla incidenza proprio sul nostro debito pubblico.


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