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«Nulla di nuovo sotto il sole…» ha detto il governatore Ignazio Visco, parlando delle disamine sui persistenti divari fra Nord e Sud. L’occasione era un convegno della Banca d’Italia sui citati divari, tenutosi ieri a Roma. Ripetiamo cose che diciamo da 30 anni, ha proseguito Visco. E il direttore generale Luigi Federico Signorini ha rincarato la dose: si potrebbe risalire, ha detto, al rapporto Iacini del 1884! Rassegnarsi, allora, a essere voci clamantis in deserto?

La risposta convinta ed enfatica che esce da questo convegno è che non bisogna rassegnarsi. E, in questo rifiuto alla rassegnazione, la Banca d’Italia si trova ormai alla testa del plotone dei refusnik: non si contano le pubblicazioni della Banca, negli ultimi due anni, sui tanti aspetti di questo ostinato dualismo italiano e sulle tante esortazioni e suggerimenti sul quid agendum.

PNRR OK, MA BISOGNA SAPERLO SFRUTTARE

Naturalmente, il Pnrr ha rappresentato la luce in fondo al tunnel e ha dato speranza di soluzione alla secolare “questione meridionale”. Si stima che il Pnrr e il Fondo nazionale complementare che lo accompagna mettano a disposizione delle regioni meridionali circa 82 miliardi. Aggiungendo i 54 miliardi dei Fondi di coesione europei del ciclo di programmazione 2021-27, i 24 miliardi del ciclo precedente non ancora spesi e i 58 miliardi del Fondo sviluppo e coesione, le risorse aggiuntive da utilizzare entro il 2030 per interventi al Sud sarebbero pari a circa 200 miliardi.

«Si tratta di risorse ingenti – dice il rapporto – pari, in media per ciascun anno, a circa il 6% del Pil dell’area del 2019». E la ministra Mara Carfagna ha ricordato che il Pnrr riserva al Sud il 40% del totale delle risorse (più che la quota del Mezzogiorno nella popolazione o nel Pil) e percentuali ancora maggiori per due comparti chiave del Pnrr: il 56% degli esborsi per infrastrutture e oltre il 50% di quelli per l’istruzione. Manna dal cielo, insomma. A patto, naturalmente, che venga spesa nei tempi e nei modi indicati.

La Carfagna ha messo le mani avanti: il Pnrr , ha detto, ha un orizzonte temporale che va al di là di questa legislatura, e bisogna allora augurarsi che nella campagna elettorale in vista delle politiche del prossimo anno nessuno possa mettere in dubbio gli impegni che abbiamo assunto. Ma torniamo al Rapporto. I lettori di questo giornale ritroveranno tante delle analisi che sono state a più riprese illustrate su queste colonne, ma che hanno il merito di essere state qui raccolte in un mosaico le cui tessere sono sempre più convincenti.

LE CAUSE DEI CIRCOLI VIZIOSI

Al Sud, dato il peso relativamente basso del settore privato «e il peso di conseguenza più rilevante di quello pubblico, nell’ultimo decennio l’economia meridionale si è trovata particolarmente esposta alla correzione di finanza pubblica imposta dalla crisi dei debiti sovrani». E, nel periodo più recente, anche la pandemia ci ha messo del suo.

Per esempio, nel settore cruciale dell’istruzione, nell’anno scolastico 2020-21 «le sospensioni della didattica in presenza sono state molto più frequenti nelle regioni meridionali rispetto al resto del Paese. Questo fattore, unito al fatto che le condizioni per lo svolgimento della didattica a distanza sono peggiori al Sud – soprattutto a causa della minor capacità delle famiglie, in media meno ricche e istruite, di sostenere gli studenti nello studio da casa potrebbe aver accentuato i ritardi dell’area nell’accumulazione del capitale umano».

Vi sono poi dei circoli viziosi che hanno intorbidato ancor più le acque del dualismo. Per esempio, è certo un fatto negativo che nel Mezzogiorno il sistema produttivo privato sia sotto-dimensionato ed è anche negativo che il sistema di supporto alle imprese meridionali sia «più di frequente rivolto alle microimprese, riflettendo (e in un certo senso assecondando) le caratteristiche del sistema produttivo locale».

Più in generale, le condizioni sociali ed economiche meno favorevoli del Mezzogiorno «possono incidere negativamente sull’azione pubblica attraverso vari canali e determinare un circolo vizioso (minore sviluppo economico – maggiore domanda di politiche puramente redistributive – minore efficacia dell’azione pubblica)».

SUD, SCUOLA PENALIZZATA DALLA SPESA STORICA

Torniamo all’istruzione, al capitale umano. Non si può assistere con rassegnazione, ha detto il governatore nelle sue parole introduttive, ai deludenti risultati degli studenti del Sud. Non è certo una questione di intelletto, ha aggiunto, ché molte posizioni chiave nel Centro Nord sono occupate da gente del Mezzogiorno (anche in Banca d’Italia, avrebbe potuto aggiungere il napoletano Ignazio Visco).

E allora? È un problema organizzativo, ha suggerito il governatore: insomma, è un problema di come funziona la scuola. Un “come funziona” che mette in causa gli insegnanti, i presidi, la didattica, i provveditorati… Certo, c’è anche un problema di risorse, che è stato più volte illustrato su queste colonne. Le risorse destinate al Sud per l’istruzione, sia per le spese correnti che per quelle in conto capitale (edilizia scolastica) sono state sistematicamente inferiori – pro-capite – rispetto a quelle assegnate al Centro-Nord.

Il grafico (tratto da un altro contributo della Banca d’Italia, del marzo 2022) mostra come, per quanto riguarda l’istruzione universitaria, l’accessibilità ai corsi entro 30 minuti dal Comune di residenza sia sempre più bassa nel Mezzogiorno. A questo riguardo si può citare quel che dice il Rapporto sulla vexata quaestio dell’autonomia regionale: «L’autonomia “irresponsabile”, in cui la capacità di spesa non è associata né a responsabilità dal lato del prelievo né è ancorata al perseguimento di obiettivi verificabili, tende infatti ad aggravare lo stato di ritardo delle aree più deboli e i comportamenti di tipo predatorio sulle risorse pubbliche». Ogni riferimento all’iniquo principio della ripartizione degli esborsi pubblici sulla base della spesa storica non è forse casuale.

GIUSTIZIA E GOVERNANCE

E torniamo al “come funziona”. Un altro comparto cruciale di spesa è quello della giustizia. La cartina (tratta da un altro lavoro di qualche anno fa di due economisti della Banca d’Italia, Silvia Giacomelli e Carlo Menon) mostra i desolanti tempi della giustizia nel Mezzogiorno. È difficile sfuggire all’impressione che qui non si tratti di problemi di risorse, quanto di problemi che Visco ha definito più sopra “organizzativi”.

E qui veniamo a un “filo rosso” che corre lungo tutto questo Rapporto. Il filo rosso è quello, potremmo dire, della governance dell’Italia. Il sistema Comuni-Province-Regioni-Stato non funziona come dovrebbe. Per esempio, i «risultati indicano che a parità di caratteristiche dell’opera e dell’amministrazione appaltante, i lavori pubblici gestiti dalle amministrazioni del Mezzogiorno mostrano tempi di realizzazione, ossia di affidamento ed esecuzione, generalmente più lunghi (in media quasi 700 giorni, oltre il 25% in più che nel resto del Paese). Distinguendo per tipologia di stazione appaltante, emerge che i divari sono riconducibili alle opere di responsabilità degli enti locali (tipicamente di minori dimensioni)».

E, naturalmente, un approccio centralista è indispensabile per il contrasto a quello che Fabio Panetta ha chiamato il «triangolo dell’illegalità», costituito da evasione, corruzione, criminalità, fattori che premiano le imprese opache e il ricorso al lavoro nero. Insomma, quando è in gioco la capacità di spendere la manna del Pnrr bisogna centralizzare di più: l’obiettivo, scrive il Rapporto, «presuppone anche il potenziamento dei poteri di indirizzo, monitoraggio e controllo dello Stato».


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