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Se Calderoli pensa di far approvare il disegno di legge intitolato “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione”, nella formulazione che nell’articolo 2, riguardante (il procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regioni),sbaglia di grosso.

Infatti esso recita nel comma 1 : “l’atto di iniziativa relativo all’attribuzione di ulteriori forme condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, è deliberato dalla Regione, sentiti gli enti locali, secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria. L’atto è trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro delegato per gli affari regionali e le autonomie che, acquisita entro 30 giorni la valutazione del Ministro dell’economia delle finanze, avvia il negoziato con la Regione richiedente ai fini dell’approvazione dell’intesa di cui al presente articolo. Decorso tale termine, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per gli affari regionali e le autonomie avvia comunque il negoziato”.

Infatti stipulare gli accordi tra Presidente delle Regioni e Presidente del Consiglio, in un rapporto in cui il Parlamento viene totalmente escluso da qualunque tipo di coinvolgimento evidentemente sarà complicato.

Anche se è chiaro che è l’unico modo perché l’autonomia differenziata si possa ottenere. E la Lega e Calderoli lo hanno talmente ben compreso che vogliono bruciare le tappe.

Se sarà coinvolto il Parlamento nel percorso dell’autonomia differenziata questa non arriverà mai più a compimento. Sono convinto che nel momento in cui i parlamentari si renderanno conto del cambiamento di paradigma che l’autonomia comporta, così come sta avvenendo adesso per i più avvertiti come De Luca, ma anche da parte di molti presidenti di Regioni non solo meridionali, la battaglia sarà dura.

De Luca per esempio dichiara “dobbiamo combattere con le unghie e con i denti per cui non si può arrivare a nessuna stipula d’intesa prima di aver definite tutte le partite finanziarie e le competenze fondamentali che garantiscano l’unità nazionale“.

Ci si comincia a rendere conto cioè che l’approvazione delle autonomie differenziate può mettere in discussione l’unità nazionale, e quello che prima veniva sostenuto da pochi studiosi adesso sta diventando patrimonio diffuso.

Purtroppo la conseguenza di un Paese duale mettono in difficoltà tutti. Se vogliamo vedere la tematica dell’altra parte del tavolo, cioè da parte di coloro che vogliono queste autonomie, si può concludere che in realtà le regioni del Nord non hanno via d’uscita rispetto a tale richiesta.

Infatti supponiamo che si passi dalla spesa storica ad una distribuzione egualitaria delle risorse, distribuendole in modo che ciascun cittadino, in qualunque parte del Paese nasca, abbia diritto alla stessa spesa di fiscalità generale. Cioè che sia ininfluente nascere a Reggio Emilia o a Reggio Calabria. Facciamo un esempio sugli asili nido: se a Reggio Emilia ve ne sono 20 e a Reggio Calabria 2 , finora la spesa storica ha consentito di finanziare quelli di Reggio Calabria e quelli di Reggio Emilia.

Ma ovviamente le risorse destinate a Reggio Emilia (spesa storica), saranno state di gran lunga maggiori rispetto a quelle destinate a Reggio Calabria. Differenza che fa sì che se ci fosse una spesa pro capite uguale il Nord dovrebbe restituire 60 miliardi l’anno, come è stato per lungo tempo sottolineato dal nostro giornale.

Supponiamo che si passi dalla spesa storica alla uguale spesa pro capite: evidentemente i 20 asili nido di Reggio Emilia non avrebbero più le risorse per continuare a funzionare. Ovviamente tutto questo se non vi fosse una crescita del Pil così rilevante da consentire contemporaneamente di arrivare ai livelli essenziali di prestazioni in tutte le parti, non diminuendo le risorse destinate con la spesa storica al funzionamento dell’esistente.

Ancora più complessa la problematica sarebbe se invece di parlare di livelli essenziali come si è fatto fino adesso, si cominciasse a parlare di livelli uniformi, come ormai da parte di alcuni studiosi meridionali si comincia a fare.

La differenza tra i Lep e i Lup non è cosa da poco. Perché nel caso dei Livelli essenziali di prestazioni ( Lep), il Mezzogiorno avrebbe diritto a un livello minimo, indipendentemente dai livelli che si hanno nelle regioni più ricche. Nel caso dei livelli uniformi(Lup) invece si statuirebbe che ogni cittadino, così come prevede la Costituzione, abbia diritto allo stesso tipo di servizi in qualunque parte del Paese esso si trovi.

Così come, peraltro, ha il dovere di pagare tasse e imposte in funzione del proprio reddito, avrebbe diritto a servizi analoghi, e quindi finirebbe l’esistenza di un Paese di serie A e uno di serie B.

Per questo nel momento in cui il Mezzogiorno si rende conto di avere dei servizi molto più scadenti rispetto a quelli esistenti nel Centro Nord, e comincia a capire che la spesa storica è un modo per tenere le risorse che ciascuno produce all’interno delle regioni di appartenenza, e richiede l’applicazione della Costituzione, che dà uguali diritti a tutti i cittadini, l’unico modo per superare tale empasse è quello di chiedere le autonomie differenziate, che consentono di rendere legittimo che ognuno si tenga le risorse che produce.

Passando da un Paese unitario ad una forma nella quale ogni Regione diventa Stato, aggregato ad una realtà federale. Per cui a quel punto sarà legittimo che le singole realtà abbiano servizi differenti, mentre oggi tali differenze non rispecchiano il dettato costituzionale.

Come uscire fuori da tale problematica, per un Paese che non ha le risorse per rendere servizi analoghi in tutte le parti adeguandoli a quelli delle regioni più evolute, nel senso di più attrezzate, per esempio nella sanità, piuttosto che nella infrastrutturazione, ma anche nella scuola, parlo del tempo pieno degli asili nido, è molto complesso.

Il PNRR potrebbe essere un modo per compensare con le risorse provenienti dalla Unione Europea alcune carenze, ma come si è visto sta diventando un bancomat, insieme alle risorse comunitarie ancora non spese, per alimentare le carenze che si sono via via manifestate, a cominciare da quelle del caro energia.

D’altra parte l’alternativa che Calderoni sta percorrendo non può che portare alla spaccatura del Paese, un cul-de-sac dal quale è difficile uscire.


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