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Il senatore Roberto Calderoli, autore del testo di legge sulla riforma differenziata

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LA RIFORMA Calderoli sull’autonomia differenziata continua a scivolare sui Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, vale a dire la quantità e la qualità dei servizi che devono essere assicurati a tutti i cittadini indipendentemente dalla loro residenza. Nella versione originale della legge era previsto che fosse direttamente il governo, d’intesa con le Regioni, ad emanare un Dpcm, dopo aver incassato la delega da parte del Parlamento. Invece, due emendamenti firmati, tra gli altri, dal presidente di Fdi della Commissione Affari Costituzionali della Camera, Alberto Baldoni, hanno di fatto riscritto l’articolo 3 del testo licenziato dal Calderoli. E, in particolare, per quanto riguarda la determinazione dei Lep, impegnano il governo ad adottare, entro “24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi”. Insomma, salta la norma sui Dpcm, fortemente voluta dal ministro leghista anche perchè considerata “la strada più rapida”.

Ma non basta. Perchè sempre ieri i deputati hanno deciso di far slittare a settembre l’esame degli emendamenti, allungando di fatto i tempi della discussione parlamentare. Calderoli, ha incassato il doppio colpo senza fare drammi: “Troviamo uno strumento condiviso perché si definiscano in due o tre anni al massimo. Però non possiamo aspettare altri 20 anni per definire i Lep. Questa non è una gara sui cento metri ma una maratona”. Ma l’iter, delineato ieri dall’emendamento dei Fratelli d’Italia sui Lep, potrebbe rallentare fortemente l’operatività della riforma sull’autonomia differenziata.

Anche perchè la definizione dei Lep, spiega Massimo Bordignon, uno dei massimi esperti in materia di federalismo, è pregiudiziale al trasferimento di alcune delle competenze dalla Stato Centrale alle Regioni. E, del resto, proprio sulla definizione dei livelli ministri delle prestazioni, si è consumato nei mesi scorsi un duro scontro all’interno del Comitato dei 61 esperti nominati da Calderoli, con l’addio all’organismo presieduto da Sabino Cassese, di quattro big: gli ex presidenti della Corte Costituzionale Giuliano Amato e Franco Gallo, l’ex presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e l’ex ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini. Del resto, dallo stesso Comitato, era arrivato un allarme sui tempi giudicati troppo stretti per la definizione dei servizi minimi da assicurare a tutte le Regioni.

Per non parlare, poi, del problema delle coperture finanziarie legate alle scelte da effettuare. In ogni caso, con l’emendamento presentato ieri i decreti legislativi per l’adozione del Lep avranno un percorso piuttosto articolato nel difficile cammino verso l’autonomia differenziata: “Sono adottati, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, di concerto con i Ministri competenti e previa acquisizione del parere della Conferenza unificata. Gli schemi di ciascun decreto legislativo sono successivamente trasmessi alle Camere per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo può essere comunque adottato. Ove il parere delle Commissioni parlamentari indichi specificamente talune disposizioni come non conformi ai principi e criteri direttivi di cui alla presente legge, il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione”.

Insomma, una doccia fredda sulle aspettative della Lega. Del resto la partita sui Lep è quella più delicata, soprattutto perchè una scelta sbagliata potrebbe ulteriormente aumentare il divario fra il Nord e il Sud del Paese. Per capire perchè sono importanti è sufficiente leggere alcuni dei documenti circolati all’interno della commissione di esperti. Uno dei punti, ad esempio, è quello di stabilire un nesso fra i diritti che deve garantire lo Stato, ad esempio l’assegno minimo per le pensioni, e quelli che finirebbero nelle mani delle regioni, come ad esempio il numero degli alunni per classe. Dal momento che la cassa dalla quale prelevare le risorse è la stessa, bisogna evitare che per finanziare i “Lep ragionali”, si possano sacrificare altri diritti altrettanto essenziali e garantiti dalla Costituzione.

Ma c’è di più. Se si stabilisce che, sempre per fare un esempio, il livello minimo per gli asili è quello di avere 26 alunni per classe, si fotografa l’esistente e non c’è quindi nessun aggravio da parte dello Stato. Ma potrebbero esserci le Regioni che, proprio grazie all’autonomia differenziata, potrebbero decidere di ridurre il numero per aula, aumentando docenti e personale scolastico. Questo finirebbe per aumentare le differenze fra le Regioni più ricche e quelle più povere.


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