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LA DOMANDA che sorge spontanea è come mai stia arrivando in tempi velocissimi in Parlamento una riforma come quella dell’autonomia differenziata tra Nord e Sud, contestata dalla maggioranza degli italiani, dalle parti sociali, dalla Banca d’Italia, dagli organi indipendenti, dai governatori appartenenti anche alla maggioranza (vista l’ultima presa di posizione di Occhiuto, governatore della Calabria), oltre che da gruppi organizzati di cittadini che hanno raccolto circa 100mila firme per una legge di iniziativa popolare che correggesse il grande errore della modifica del titolo V, e perfino, con la sua moral suasion, dal presidente della Repubblica.

Come mai Fratelli d’Italia, che è portatrice di una logica opposta, vista la sua storia e il centralismo attuato in molti provvedimenti, compreso quello della Zes unica, e il Fondo sviluppo e coesione, che tante lamentele ha provocato in molti governatori, consente un percorso che, se può essere positivo a breve per le Regioni del Nord, danneggia pesantemente il Sud e quindi tutto il Paese?

LA STRATEGIA DEL NORD

La ragione è molto semplice e deriva da una mancanza di rappresentanza parlamentare delle Regioni del Sud e da una sovra-rappresentanza del Nord, dovuta alla legge elettorale vigente, di un movimento territoriale come la Lega. Tale partito ha ormai piazzato nei posti chiave del governo i suoi uomini, che ovviamente perseguono gli obiettivi propri di un movimento territoriale che parte accusando Roma di essere ladrona, passa da un progetto di indipendenza/secessione e nel tempo cambia strategia, visto l’insuccesso del primo, puntando all’autonomia differenziata.

L’obiettivo rimane lo stesso ma tenendosi pure i vantaggi di avere una realtà con il 40% del territorio da utilizzare per le esigenze contingenti. La squadra è di quelle di alto livello: Giorgetti all’Economia, lui che in passato, da ministro dello Sviluppo economico, dirottò l’investimento della Intel a Vigasio, in provincia di Verona, malgrado in tale realtà vi sia piena occupazione e grande difficoltà a trovare ingegneri se non emigrano dal Sud, adesso ha un ruolo fondamentale nel governo Meloni.

Il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, ha la stessa provenienza, anche se sembra avere una visione globale del Paese. In particolare, intestandosi una battaglia importante per valorizzare la posizione logistica dello Stivale con la costruzione – avversata da molti – del ponte sullo Stretto di Messina. E poi Calderoli, noto per la sua preparazione e determinazione, che ha deciso, insieme a Luca Zaia e a tutto il partito, che l’autonomia dovrà essere lo scalpo da portare alle elezioni europee del 2024. Costi quel che costi. Anche una crisi di governo nel caso in cui ciò non avvenga, come aveva dichiarato in maniera assolutamente esplicita al quotidiano La Stampa, il 18 maggio 2023, il governatore del Veneto Luca Zaia: «Se non passa la riforma, viene meno la maggioranza».

L’EQUIVOCO SUI LEP TRA NORD E SUD

In parole povere, si minaccia la crisi di governo e, certo, le parole sono pietre e vanno valutate adeguatamente. Poco importa al governatore del servizio di bilancio, che dovrebbe essere un organismo neutrale, e con il solito garbo istituzionale afferma: «Mi piacerebbe sapere chi sia il signor “Servizio di Bilancio” che ha bocciato la proposta di Calderoli. Si tratta di giudizi politici più che di giudizi tecnici».

Anche Calderoli non ci va leggero e, alla precisa domanda posta da un cronista che l’11 novembre sosteneva che esiste un patto stretto con Forza Italia e che prima si devono trovare le risorse per garantire i Lep e poi si potrà realizzare l’Autonomia, ha risposto in modo netto: «Mi dispiace, ma stanno sbagliando, non è così. Il patto è che la legge venga approvata e che non venga trasferita nessuna funzione prima che siano definiti i Lep e i relativi costi e fabbisogni standard. La garanzia delle risorse per i Lep è nella Costituzione».

“Definiti”, notate la sottigliezza, non “finanziati”. Il finanziamento lo garantisce la Costituzione. Verrebbe da dire che infatti, in vigenza di essa, i Livelli essenziali sono stati completamente diversi nelle due parti del Paese. Ma viene spontanea la domanda che ci si è posti all’inizio: come mai tutto questo può tranquillamente avvenire senza che vi sia alcuna reazione da parte del Mezzogiorno, che secondo molti sarebbe la vittima sacrificale di tale nuova legislazione? La risposta non poi così complessa: in realtà il Sud manca di una propria rappresentanza politica. Infatti, malgrado vengano eletti deputati e senatori al Parlamento italiano, in realtà essi fanno riferimento a partiti nazionali che, molte volte, hanno interessi diversi rispetto a quelli territoriali del Mezzogiorno. E la disciplina di partito è tale per cui chiunque voglia ribellarsi a tale visione, vista la legge elettorale esistente, non sarà più non solo eletto ma nemmeno candidato.

È chiaro, quindi, che la disciplina ferrea di partito viene rispettata da tutti e la classe dominante estrattiva meridionale, spesso ascara rispetto a quella settentrionale, si accontenta dei piccoli vantaggi che possono derivare dal ruolo ricoperto, disinteressandosi totalmente degli interessi dei propri territori.

PENTIMENTI TARDIVI

È una dinamica antica che ha consentito che l’autostrada si fermasse a Napoli, come anche che i diritti di cittadinanza fossero assolutamente diversi nelle varie parti del Paese, come è stato rilevato in modo inoppugnabile dall’esigenza di finanziare i Lep, cosa ovviamente complicata, considerata la mancanza permanente di risorse. Di conseguenza ci si ritrova con una parte che porta avanti i propri interessi e la parte opposta, quella che dovrebbe difendersi, che funziona semplicemente da supporto, come si è visto peraltro in Conferenza delle Regioni, nella quale i presidenti meridionali hanno perfino votato a favore. Tranne qualche pentimento dell’ultima ora, forse strumentale a presentarsi presso gli elettori in qualità di vittime piuttosto che di carnefici. In tutto questo, l’opposizione prima ha supportato il percorso, con Bonaccini che ha avanzato la stessa richiesta di autonomia, per poi, fulminato sulla via di Damasco, rientrare nei ranghi di un Pd che adesso è contro.

Lo stesso movimento Cinque Stelle ha sottovalutato molto tale provvedimento e oggi si schiera contro, ma quando ormai è troppo tardi e i buoi sono scappati. Evidentemente funziona sempre il meccanismo del vaso di coccio vicino a quello di ferro: qualunque scossone finisce per rompere il coccio. Potrebbe accadere anche questa volta al Nord e al Sud.


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