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La premier Giorgia Meloni, con Antonio Tajani, durante il question time alla Camera

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ALLE 3 del pomeriggio Giorgia Meloni si presenta a Montecitorio per rispondere alle domande dei gruppi parlamentari: dieci quesiti cui segue la replica della premier e la controreplica del partito. Sembra essere il prologo della campagna elettorale. Si comincia in sordina sulla situazione in Medio Oriente, domanda posta da Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana. Sul no del governo d’Israele al riconoscimento della soluzione due popoli due Stati in Medio Oriente Meloni la mette così: «Non condivido la posizione assunta ultimamente da Netanyahu, ma questo non può essere richiesto unilateralmente: la condizione è il riconoscimento del diritto all’esistenza dello Stato ebraico». E ancora: «L’Italia è da sempre per uno Stato palestinese, per questo non condivido la posizione espressa dal primo ministro israeliano sulla materia. Un’intesa non può essere chiesta unilateralmente: il presupposto è il riconoscimento degli interlocutori, di Israele e del diritto degli israeliani a vivere in sicurezza».

Il clima inizia a surriscaldarsi quando Meloni prende di mira il gruppo Fiat e i marchi italiani collegati che «rappresentano una parte molto importante della storia industriale nazionale, in termini occupazionali e di ricchezza prodotta, un patrimonio economico che merita la massima attenzione, e questo significa anche avere il coraggio di criticare alcune scelte del management e del gruppo quando sono state distanti dall’interesse italiano, come mi è capitato di fare, spesso nell’indifferenza generale». Una critica quella indirizzata a Stellantis che si riferisce «allo spostamento della sede legale e fiscale fuori dall’Italia o alla fusione che celava un’acquisizione francese dello storico gruppo italiano: tanto che oggi nel cda di Fca siede un membro del governo francese, non è un caso se le scelte industriali del gruppo tengono maggiormente in considerazione le istanze francesi rispetto a quelle italiane». Da qui Meloni annuncia di voler tornare «a produrre un milione di veicoli l’anno con chi vuole investire davvero sulla storica eccellenza italiana. Se si vuole vendere auto sul mercato internazionale pubblicizzandola come gioiello italiano allora quell’auto deve essere prodotta in Italia questa la questione che dobbiamo porre». Il made in Italy prima di tutto, come slogan del governo. Eppure qualche criticità viene sollevata anche dagli alleati di governo. Forza Italia, per dire, chiede chiarimenti sulle privatizzazioni. «Non si tratta di privatizzare per privatizzare, di dismettere o di svendere, come ho detto l’impostazione di questo governo è lontana anni luce da quanto visto purtroppo accadere in passato quando le privatizzazioni» risponde piccata la premier.

Meloni poi apre agli indennizzi nei confronti dei familiari delle vittime delle stragi naziste: «Consideriamo doverosi gli indennizzi, lo abbiamo mostrato aumentando nel 2023 il fondo. Non può esserci dal governo un intento dilatorio o ostruzionistico. Ciò non toglie che l’Avvocatura dello Stato debba fare il suo lavoro di verifica sui presupposti per il risarcimento. La completezza del contradditorio non è disattenzione per le vittime ma rispetto della legge. Non c’è nessun intento dilatorio ma un lavoro necessario, usiamo risorse dei cittadini, nel modo più corretto possibile».

Quanto al reddito di cittadinanza la presidente del Consiglio rivendica la scelta di aver abolito la misura sponsorizzata dal M5S e di aver puntato sull’assegno di inclusione dal Primo gennaio. Il climax del pomeriggio a Montecitorio si raggiunge con le arringhe dei 5Stelle e del Pd. Francesco Silvestri (M5) affonda sulla riforma del patto di stabilità siglato lo scorso dicembre in Europa: «Ma com’è passata da ‘la pacchia è finita’ a ‘il patto di stabilità non è il mio compromesso ideale ma era il miglior compromesso possibile’? Ma se questo patto non le piaceva, perché l’ha firmato?». Risponde Meloni che picchia duro, dati alla mano, sul «disastro ereditato dal governo Conte in materia di Bilancio» e sul Superbonus, che ha consentito a molti di restaurarsi a spese dello Stato «la villa con piscina». E ancora si rivolge a Giuseppe Conte: ««In meno di tre anni di governo ha aumentato il debito pubblico di 350 miliardi…La stagione dei soldi gettati al vento per pagarsi le campagne elettorali è finita». Controreplica di Meloni: « Lei cos’è, un Re Mida al contrario? Lui tutto quel che toccava trasformava in oro, lei tutto quel che tocca distrugge».

Lo scontro Meloni Conte è così divertente che più di un parlamentare si domanda: «Sarebbe bello vederli in tv l’uno contro l’altro». E invece da giorni si parla di un faccia a faccia tv tra Schlein e Meloni che potrebbe tenersi nel mese di aprile. Schlein attacca il governo e la presidente del Consiglio: «Mancano 30 mila medici. Come pensate di eliminare le liste d’attesa obbligando i medici a turni massacranti? Toglierete il blocco alle assunzioni nella sanità pubblica? E non mi risponda “potevate farlo voi”, perché io al governo ancora non ci sono stata e lei ci sta da 16 mesi». Meloni scuote la testa, sussurra qualcosa a Nordio, si alza e la mette così: «Per noi assicurare il diritto dei cittadini è priorità assoluta, abbiamo portato il Fondo per la salute ai massimi storici. Obiettivo prioritario abbattere le liste d’attesa». Contro- risposta di Schlein: «Non racconti la solita balla del più grande investimento della storia, i tre miliardi in più non bastano. La spesa sanitaria, che in tutto il mondo si calcola sul Pil, sta scendendo. Voi non credete che ci sia un problema, con medici stremati e 100 mila pazienti in attesa. Sulla sanità dimostrate che non esiste nessuna destra sociale: questa è una destra letale sul diritto alla salute. Lei si sta confermando la regina dell’austerità. E avete approvato l’Autonomia, che spacca l’Italia».

Quando tutto finisce in Transatlantico in tanti si pongono la domanda su chi abbia avuto la meglio fra le opposizioni. Conte o Schlein? La segretaria del Pd è stata applaudita dal leader del M5S. Un segnale, insomma. Anche se l’impressione è che Meloni soffra più Conte di Schlein. Sarà una lunga campagna elettorale…


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