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LA PROSSIMA settimana, se non ci saranno incidenti, arriverà a Roma il primo bonifico proveniente da Bruxelles. Si tratta del pre-finanziamento da 25 miliardi a valere sul Recovery Fund italiano. Probabilmente verrà suddiviso in due tranche con la seconda a settembre. Solo tecnicalità.

Quello che conta è il dato politico su cui non tutti sembrano aver riflettuto a sufficienza. L’istante in cui verrà dato il clic definitivo al bonifico segnerà il fischio che chiude  la ricreazione. I partiti impegnati in battaglie di consenso come quella intorno al disegno di legge Zan o il “patto della spigola” all’interno del Movimento 5 Stelle diventeranno scaramucce laterali di fronte alla partita vera rappresentata dal rispetto puntuale degli impegni presi con Bruxelles. Sia sul fronte delle riforme sia per quanto riguarda i tempi di spesa e rendicontazione.

Un cronoprogramma che Draghi intende rispettare senza ritardi. In gioco la credibilità del Paese e quella sua personale. Non a caso sono già stati avviati i primi provvedimenti che riguardano la governance del Piano, le semplificazioni e la riforma della pubblica amministrazione.

Ora c’è il resto da avviare con la legge sulla concorrenza  ed entro luglio la legge delega sulla riforma fiscale. Ossia: una materia talmente ampia e complicata che il Parlamento fissa solo le linee guida e delega il governo a scrivere le specifiche norme di dettaglio. Entro i prossimi cento giorni (insomma entro la fine dell’estate) si punta usando lo stesso strumento, alla  riforma più divisiva  che necessita di più tempo, quella della giustizia. Sia civile che penale, c’è da abbattere i tempi biblici di processi infiniti. L’obiettivo è di arrivare alla definizione del testo entro settembre con il voto del Parlamento. Una mole di lavoro immane, tra tempi stretti, spinte politiche contrastanti e i dolori di pancia  e una spada di Damocle di metallo sonante: i soldi del Recovery Plan, condizionati al raggiungimento degli obiettivi.

L’assegno iniziale di 25 miliardi sarà assorbito per circa il 63% dai 105 progetti che il Pnrr italiano prevede di concludere entro quest’anno.  Vuol dire che a fine dicembre dovranno essere state rendicontati investimenti  per 15,7 miliardi di cui 13,79 a valere sul Recovery Fund  e  1,91 miliardi di spese dell’anno scorso che il regolamento europeo consente di coprire ex post.

Certo spendere questo tesoro in appena cinque mesi (agosto compreso) non è  facile. Per questa ragione la scena del debutto sarà occupata da interventi  già in corso d’opera, su cui i fondi Ue hanno la funzione di sostituire a tassi più convenienti i finanziamenti nazionali. Ma la sfida è destinata a crescere nel tempo.  Già l’anno prossimo i progetti diventano 167 per un ammontare di  27,6 miliardi. E poi sempre più veloci:  179 progetti e 37,4 miliardi di spesa nel 2023 e 176 progetti per 42,4 miliardi nel 2024. Solo a partire dal 2025 ci sarà una frenata in vista della fine del piano nel 2026.

E’ presumibile che i finanziamenti del 2021 andranno in via prioritaria al programma  Transizione 4.0, Si tratta degli incentivi fiscali agli investimenti  che con 1,71 miliardi si prende la quota più grossa della spesa di quest’anno.

Ci sono poi 1,2 miliardi  del rifinanziamento del fondo Simest per gli aiuti alle aziende  sui mercati stranieri, che come spiega il Pnrr «dispone già delle procedure necessarie affinché l’intervento sia pienamente operativo» perché il meccanismo è già attivo Già in corso d’opera sono gli investimenti sull’Alta velocità  in Liguria e sulla Brescia-Venezia (837 milioni per il 2021), così come il Piano asili che per quest’anno viene coperto con 650 milioni europei. Tra gli interventi nuovi va segnalata la creazione degli «Uffici del processo» nei Tribunali, con 402 milioni previsti in uscita nei prossimi mesi per la prima quota delle 16.500 assunzioni a termine previste dal decreto sul reclutamento nella Pa.


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