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Il governatore del Veneto Luca Zaia

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IL CASO dei neonati uccisi o rimasti cerebrolesi per un’infezione da Citrobacter Koseri contratta all’ospedale Borgo Trento di Verona è destinato a diventare anche un caso politico, al di là dei suoi tragici risvolti umani. Non tanto perché mentre il governatore Luca Zaia ne parlava alcuni giorni fa, nel corso di una conferenza stampa, il segretario della Lega, Matteo Salvini, si abbuffava platealmente di ciliegie, in un video che ha fatto il giro della rete, quasi non gliene importasse niente di quanto il suo collega leghista stava dicendo.

REGIONE COINVOLTA

Diventerà un caso politico perchè la gestione della sanità pubblica da parte della Regione Veneto è pesantemente tirata in ballo, anche se le infezioni si sono verificate in una singola struttura sanitaria, ovvero l’Ospedale della Donna e del Bambino, dove da domenica scorsa sono chiusi i reparti di terapia intensiva neonatale e pediatrica, nonchè il punto nascita. Il personale, a parte i medici, è stato trasferito ad altri reparti, per evitare ulteriori contaminazioni. Provvedimenti drastici, che lo stesso direttore generale Francesco Cobello ha definito “draconiani”, talmente eccezionali da apparire unici in Italia. Il primo caso di un bambino infettato risale al 2018. Possibile che si sia atteso tanto tempo prima di disinfestare tutto e di accorgersi che non si trattava di un episodio isolato?

La domanda è stata rilanciata in modo drammatico da Francesca Frezza, di Peschiera del Garda, la mamma di Nina, una piccola che è sopravvissuta per sei mesi ed è morta lo scorso novembre al Gaslini di Genova, dove era stata ricoverata per ricevere almeno le cure paliative che a Verona non le erano praticate. “Perché non hanno chiuso le Terapie intensive neonatale e pediatrica all’emergere dei primi casi di Citrobacter, che risalgono addirittura al 2018? Soltanto alle 14.30 di venerdì 12 giugno, il giorno in cui ho reso pubblici gli esiti dell’autopsia su Nina e mi sono personalmente piazzata davanti alle porte dei reparti coinvolti, l’Azienda ospedaliera si è finalmente decisa a chiudere.

Ma andava fatto prima, mesi prima, anni prima” dichiara Francesca Frezza, che da oltre un anno, finora inascoltata, ha raccontato la sua storia. Solo l’11 giugno, per ammissione del governatore Luca Zaia, la Regione Veneto sarebbe venuta a sapere del caso di Verona. Intanto la direzione generale dell’ospedale aveva nominato una commissione di tre esperti veneti per effettuare gli accertamenti e capire che cosa sia successo e quanti sono realmente i casi, visto che Cobello ha parlato di almeno una dozzina di infezioni. La realtà è ben più tragica, perché i deceduti sono tre, ma in altri quattro casi ci si trova di fronte a gravi lesioni causate da un batterio che per gli adulti è innocuo, ma si rivela micidiale per i piccoli più fragili, in particolare quelli nati prematuri. Ma la signora Frezza è stata contattata, nell’arco di un anno e mezzo, dai genitori di 23 neonati.

GLI ISPETTORI

Il 18 giugno la Regione ha deciso di nominare una propria commissione ispettiva, nonostante quella individuata dall’ospedale di Verona. Qualcosa non ha funzionato nella gestione sanitaria se di un problema così grave le autorità regionali sono state tenute all’oscuro. A questi accertamenti si aggiungono anche due inchieste penali, la prima della Procura di Genova, la località dove è morta Nina, ed ora anche Verona, dopo l’esposto presentato da Francesca Frezza. Ma sono in arrivo gli ispettori del Ministero della Salute, dopo la presentazione di un’interrogazione di tre parlamentari del Pd, Alessia Rotta, Elena Carnevali e Diego Zardini, a cui il governo ha dato una risposta in Commissione sanità alla Camera. Ha ammesso di avere notizie per ora limitate a una relazione inviata dalla Regione, da cui risultano tre decessi e almeno quattro infezioni gravi, oltre ad altri casi.

“Il Ministero si riserva di inviare ispettori per verificare la situazione” dichiara Sandra Zampa, sottosegretaria alla Salute. Infine, la famiglia di Nina ha presentato una denuncia anche all’Ordine dei Medici di Verona chiedendo procedure disciplinari nei confronti di alcuni dei sanitari che si sono occupati del caso della figlia. “I sospetti che stanno emergendo sono gravi e pesanti, a questo punto è nostro compito fare chiarezza su tutto” ha dichiarato il procuratore Angela Barbaglio, confermando che seguirà personalmente l’inchiesta.


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