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Il mistero del dossier scomparso. C’è anche questo nel vortice di sospetti e indagini avviate dalla magistratura sul collasso della sanità nazionale e in particolare lombarda e i morti della bergamasca. Un documento che criticava in modo analitico la gestione italiana della pandemia prodotto della divisione europea dell’Oms che ha sede a Venezia. Una struttura considerata fino a ieri un fiore all’occhiello.

Era stato redatto da dieci ricercatori e firmato dal responsabile Francesco Zambon, coordinatore dell’Ufficio regionale per l’Europa. È sparito. Era stato inviato alla sede Oms di Copenaghen e alla sede di Ginevra. Si è dissolto.  Conteneva riferimenti precisi, dettagliati, sul mancato aggiornamento del Piano pandemico italiano e sull’inosservanza delle regole basilari di contenimento dell’infezione. Un preciso atto d’accusa che chiama in causa il numero 2 dell’Oms, Ranieri Guerra e membro del Cts. Ma poiché il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, ecco che una manina segreta lo ha fatto avere alla redazione di Report, la stessa che nell’aprile scorso aveva condotto un’inchiesta sul mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale rimasto quasi identico alla formulazione del 2008.  Carenza di personale, scorte di mascherine esaurite in pochi giorni, terapie intensive intasate. La prova che medici e pazienti sono andati al martirio senza possibilità di scampo in assenza di un piano aggiornato.

L’INSOSTENIBILE INUTILITÀ DEL CCM: UN ORGANISMO FANTASMA

Ma per capire cosa davvero non ha funzionato forse bisogna partire da un acronimo: Ccm. La sigla dell’organismo tra il ministero della Salute e le regioni istituito 16 anni fa per contrastare le emergenze di salute pubblica con particolare riferimento alle malattie infettive e al bioterrorismo. Opera in base ad un programma annuale ed è guidato da un comitato strategico e da un comitato scientifico. I membri vengono nominati dal ministro della Salute ed è composto dal coordinatore degli assessori alla Sanità, due assessori regionali alla sanità nominati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni, dai capi dipartimento del ministero della Salute. Da un rappresentante del ministro degli Esteri, dal presidente dell’istituto superiore di sanità e dal presidente del Consiglio superiore di Sanità e da un direttore operativo. La mission sarebbe – condizionale obbligatorio e imprescindibile – quella di definire obiettivi di interessi nazionale e fare in modo che ogni regione segua un identico tracciato. Obiettivo clamorosamente fallito. Ogni governatore è andato per conto suo.

NEL CCM RAPPRESENTATE SOLO LE REGIONI DEL NORD

Il coordinatore degli assessori è Antonio Saitta, ex assessore alla Sanità della Regione Piemonte e per dieci anni presidente della Provincia di Torino. Del Comitato strategico – ma poi si è visto quanto poco strategico sia stato – fa parte anche Lucio Coletto, assessore alla Sanità della Regione Veneto, ex sottosegretario alla Salute, nonché esponente di punta della Lega Nord; Stefania Saccardi, ex assessore alla Sanità della Toscana e vicepresidente renziana della Regione. Ci sarebbero poi i presidenti dell’Istituto superiore della sanità e del Consiglio superiore. E le regioni dell’Italia centrale e Meridionale? Zero rappresentanti.

Resta il fatto che mentre il Covid 19 a loro insaputa era già tra noi, cioè nell’autunno dello scorso anno, questo prestigioso raggruppamento di esperti – completato da Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero della Salute, Marco Leonardi, capo del Dipartimento della Protezione civile e da Roberta Lecce, designata dal ministero degli Esteri – si occupava soprattutto a livello regionale di altro. Igiene della salute orale; impatto dei cambiamenti climatici; promozione dell’attività fisica nel setting scolastico, promozione di uno stile di vita sano ed equilibrato. Eppure, c’era stata già l’emergenza viaria. E il piano pandemico? È stato del tutto ignorato proprio da chi aveva compiti di organizzazione, coordinamento e prevenzione.

LA FIRMA CONGIUNTA

Il 5% del Fondo sanitario nazionale assegnato ogni anno ad ogni regione per la prevenzione viene utilizzato per altri scopi. Solo il 2,9% in media va alla prevenzione contravvenendo alle linee indicate dall’Ocse. E in questa percentuale gli enti locali includono anche lo screening oncologico.

Ci sarebbe poi il vertice di ieri, l’ennesima zuffa governo-governatori. Che cosa è successo? Che mentre il virus avanza, costringendo così gli altri i reparti a sloggiare e a riconvertirsi al Covid-19, governo e regioni continuano a sfidarsi in surplace. Come certi ciclisti che in cerca di equilibrio si scrutano a vicenda sulla pista.  Chi lancia per primo la volata potrebbe vincere ma anche esaurire le energie e perdere.  Ecco allora la mandrakata: la richiesta che sulle chiusure ci debba essere la firma congiunta del ministro della Salute e del presidente della Regione. Il prezzo da pagare al federalismo all’italiana. In questo gioco a chi dà il peggio di sé vince per distacco il governatore della Lombardia Attilio Fontana. Ma chi lo segue a ruota è il suo omologo campano Vincenzo De Luca. Dopo aver rivendicato per mesi la peculiarità della Campania, eccolo invocare come se nulla fosse il ritorno al centralismo statale.

«Servono provvedimenti su base nazionale, senza differenti misure a seconda delle regioni». E tanto per cominciare visto la crescita esponenziale dei contagi e la situazione degli ospedali dove ormai vige una sorta di numero chiuso, lo sceriffo salernitano ha lasciato in vigore le sue ordinanze più restrittive sulle lezioni in presenza chiudendo anche gli asili, decretando lo stop alla mobilità interprovinciale.  De Luca nell’incontro con il governo ha rinnovato le sue richieste: la modifica dei congedi parentali, un bonus famiglia ai lavoratori autonomi e il cento per cento degli stipendi ai genitori che abbiamo figli da zero a 16 anni.  De Luca per una volta non si è beccato con il sindaco di Napoli de Magistris. I suoi raccontano però che vedendo le immagini del lungomare partenopeo nero di folla e gli assembramenti nelle piazze sia sbottato di brutto chiedendo alle forze dell’ordine un piano straordinario per garantire il rispetto delle ordinanze. Controfirmate dal governo.


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