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BARELLE da campo e pazienti ricoverati nei corridoi del pronto soccorso di Rivoli. Nel reparto di Medicina, ad Ivrea, il corridoio già stretto viene diviso in due corsie da un nastro bianco incollato sul pavimento: da un lato, le camere dei pazienti Covid, dall’altro quelle dei non Covid, e così la diversificazione tra percorsi puliti e sporchi va a farsi benedire. Ad Orbassano, l’ospedale San Luigi è talmente sold-out che i medici hanno dovuto “occupare” anche la chiesa: al posto dei banchi, accatastati in un angolo, ora ci sono le brandine pronte ad accogliere i pazienti Covid che affluiscono senza sosta al pronto soccorso. Pure l’aula convegni della struttura è stata allestita. Il Piemonte è l’immagine dell’Italia che si è fatta cogliere di sorpresa anche dalla seconda ondata di contagi Covid, quella che era stata ampiamente prevista da tutti gli epidemiologi d’Italia, salvo rare eccezioni.

Certo, il Piemonte non è l’unica regione in difficoltà, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, regna il caos. In Liguria, dopo le denunce sulle attese persino di 200 ore sulle barelle alle quali sono stati sottoposti alcuni pazienti a Genova, la guardia di finanza ha avviato persino una indagine. Non che a Napoli o Bari la situazione sia più sotto controllo, il Covid sta mettendo a nudo tutti i punti deboli di un Paese Arlecchino delle 20 sanità: l’autonomia rivendicata dai governatori si sta dimostrando un sistema fallimentare.

Però, c’è un dato che sorprende: il Nord Italia ha vissuto più direttamente e in maniera più feroce gli effetti della pandemia durante la prima ondata, a differenza del Sud che era stato salvato dal lockdown. Era legittimo pensare, sperare, che l’esperienza di marzo-aprile avesse creato i presupposti per un’organizzazione più efficiente ed efficace. Così, evidentemente, non è stato a guardare le immagini che arrivano dagli ospedali piemontesi, liguri, lombardi.

E poi c’è un secondo dato che non può essere trascurato: da Roma, nel corso degli ultimi 15 anni, sono “partite” maggiori risorse per alimentare la sanità delle Regioni del Nord a scapito di quelle del Sud, nonostante ad aumentare i passivi fossero proprio Piemonte, Liguria e Toscana. E’ tutto messo nero su bianco nei documenti ufficiali della Corte dei Conti, ad esempio nel “Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica” si legge: “Nel 2018 i risultati di esercizio (senza considerare i contributi aggiuntivi disposti a livello regionale per la garanzia dei Lea) sembrano presentare un seppur limitato peggioramento: le perdite crescono, passando dagli 893 milioni del 2017 a poco più di 1.106 milioni”. Il saldo è simile tra Regioni in piano di rientro (cioè quelle del Mezzogiorno) e quelle non in piano (quelle del Nord): le prime vedono crescere la perdita da 139,5 a 205 milioni; per quanto riguarda le seconde, il deficit complessivo passa dai circa 753 milioni del 2017 a poco più di 900 milioni. Però, “il peggioramento dei conti – evidenzia la Corte dei Conti – è da ricondurre soprattutto alle Regioni a statuto ordinario del Nord, che passano da un avanzo di 38,1 milioni del 2017 a un disavanzo di circa 89 milioni (un andamento essenzialmente dovuto a Piemonte e Liguria che presentano nel complesso un disavanzo di oltre 104 milioni) e alla Toscana (in deficit prima delle coperture per circa 32 milioni)”.

I numeri parlano chiaro: la Toscana, il cui sistema sanitario viene elogiato e preso come esempio virtuoso, nel 2018 ha prodotto un passivo di 32 milioni circa; il Piemonte ha avuto un risultato negativo di 51,7 milioni; la Liguria ha coperto il disavanzo di 56,1 milioni con risorse iscritte nel bilancio 2019 per 60 milioni. Tutto questo nonostante dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord abbiano visto aumentare la loro quota, mediamente, del 2,36%; mentre altrettante regioni del Sud, già penalizzate perché beneficiare di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno. Dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Ecco come è lievitato il divario tra le due aree del Paese: mentre al Nord sono stati trasferiti 1,629 miliardi in più nel 2017 rispetto al 2012, al Sud sono arrivati soltanto 685 milioni in più.

Nel 2017, con qualche lieve variazione rispetto agli anni dal 2012 al 2016, il 42% del totale delle risorse finanziarie per la sanità è stato assorbito dalle Regioni del Nord, il 20% dalle Regioni del Centro, il 23% da quelle del Sud, il 15% dalle Autonomie speciali. Insomma, se i sistemi sanitari del Mezzogiorno pagano una impreparazione causata anche da minori finanziamenti che hanno impedito di creare ospedali, assumere personale, acquistare strumentazione, le Regioni del Nord avrebbero avuto risorse economiche e umane per fronteggiare con maggiore incisività la pandemia. Almeno questa seconda ondata prevista e preventivata. Ed invece da Torino a Genova, passando per Milano arrivano immagini di file interminabili di ambulanze in attesa di poter ricoverare i pazienti trasportati; attese infinite nei pronto soccorso, sulle barelle; corridoi trasformati in reparti; addirittura il nastro adesivo per separare i pazienti Covid da quelli non Covid presenti nello stesso reparto.

E’ evidente che più di qualcosa non ha funzionato se gli ospedali sono nuovamente al collasso a novembre e se la barriera della medicina territoriale ha dovuto cedere sotto la pressione della richiesta di tamponi da effettuare e pazienti a domicilio da seguire. Eppure, se analizziamo la spesa pro-capite totale: nel 2017, lo Stato mediamente ha investito 1.888 euro per ogni suo cittadino, tutte le Regioni meridionali, ad eccezione del Molise (2.101 euro pro capite), hanno ricevuto meno della media nazionale. In particolare, la Campania (1.729 euro), la Calabria (1.743 euro), la Sicilia (1.784 euro) e la Puglia (1.798 euro); mentre la spesa pro capite più alta si registra nelle Province autonome di Bolzano (2.363 euro) e Trento (2.206 euro), in Liguria (2.062 euro), Valle d’Aosta (2.028 euro), Emilia-Romagna (2.024 euro), Lombardia (1.935 euro), Veneto (1.896 euro). Se prendiamo in considerazione solamente la spesa per investimenti fissi nella sanità, lo scenario non cambia: dal 2010 in poi la spesa per edilizia e arredamenti sanitari sono diminuiti in tutta Italia, passando da 3,4 miliardi a 1,4 miliardi del 2017.

Ma, oltre a ridursi, la spesa per investimenti è stata del tutto squilibrata territorialmente: dei 47 miliardi totali degli ultimi 18 anni (2000-2017), oltre 27,4 sono stati spesi nelle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 nel Mezzogiorno. In termini pro-capite, significa che mentre la Valle d’Aosta ha potuto investire per i suoi ospedali 89,9 euro, l’Emilia Romagna 84,4 euro, la Toscana 77 euro, il Veneto 61,3 euro, il Friuli Venezia Giulia 49,9 euro, Piemonte 44,1, Liguria 43,9 euro e Lombardia 40,8 euro; la Calabria ha dovuto accontentarsi di appena 15,9 euro pro-capite, la Campania 22,6 euro, la Puglia 26,2 euro, il Molise 24,2 euro, il Lazio 22,3 euro, l’Abruzzo 33 euro. Le provincie di Bolzano e Trento sono completamente fuori classifica, rispettivamente con 183,8 euro di investimenti all’anno per ogni loro cittadino e 116,2 euro.

Con questi numeri era forse lecito attendersi una risposta diversa dai 20 sistemi sanitari, considerando che regioni come la Puglia, la Campania, la Calabria sono tutt’ora sotto il controllo dei ministeri della Salute e dell’Economia e, quindi, anche per assumere un infermiere devono essere autorizzate nella spesa. L’Emilia Romagna con 4,4 milioni di abitanti ha potuto investire nella sanità, grazie ai maggiori trasferimenti dal riparto del fondo sanitario nazionale, 10,2 miliardi. La Puglia alla voce “Tutela della salute”, nel suo bilancio iscrive la somma di 7,7 miliardi. Il Veneto (4,9 milioni di residenti) spende 10,1 miliardi; la Lombardia che conta poco più del doppio della popolazione della Puglia (10 milioni di residenti) addirittura spende quasi il triplo, 19,3 miliardi. I dati sono estrapolati dai bilanci di previsione 2019-2021 delle singole Regioni. L’Emilia Romagna negli ultimi 13 anni ha incassato 3 miliardi in più rispetto alla Puglia, a quasi parità di popolazione. Eppure, nel risultato finale, queste differenze non si sono viste nell’affrontare l’emergenza Covid-19: se una donna al pronto soccorso del San Martino di Genova, nei giorni scorsi, ha dovuto attendere coricata su una barella per circa 200 ore, significa che l’autonomia invocata e pretesa dai governatori ha fallito.

Se il Sud deve fare i conti con strumentazione obsoleta e piante organiche numericamente non all’altezza di una pandemia, il Nord, che più di tutti aveva sperimentato la forza del Covid, questa volta aveva tutto il tempo e le risorse per organizzarsi meglio. Ma evidentemente il federalismo sanitario non è poi così efficace come i governatori continuano a ripetere.  


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