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Dal 2012 al 2018 l’Italia ha “perso” oltre 42mila operatori sanitari, tra medici e infermieri e altre figure ospedaliere, e il record spetta ancora una volta a una regione del Sud. È infatti la Campania ad aver dovuto fare a meno di 10.490 dipendenti sanitari: in pratica gli ospedali si sono svuotati. Colpa della spending review, ma soprattutto del blocco del turn over, che ha impedito di sostituire chi andava in pensione o si trasferiva altrove, e dei lacci e lacciuoli fissati dai ministeri dell’Economia e della Salute a quelle regioni, quasi tutte del Sud, che sono finite in piano di rientro.

IL RAPPORTO

È quanto emerge dal rapporto dell’associazione “Salutequità 2021” che ha elaborato i dati del ministero della Salute. La Campania non è l’unica danneggiata: basti pensare che la Calabria di operatori sanitari ne ha persi 3.889, il piccolo Molise 1.027, la Puglia 2.229.

Anche il Nord Italia ha visto una contrazione di dipendenti ospedalieri, ma ben più contenuta: per fare un rapporto, gli organici della Lombardia si sono ridotti di 2.888 lavoratori, un quinto rispetto alla Campania, meno della Calabria e poco più della Puglia. Non solo. La Lombardia, dal 2012 al 2018, non ha perso medici, anzi quelli sono aumentati: +290, mentre la Campania ha visto andar via 1.739 camici bianchi, la Puglia 374, il Molise 204.

Anche il Veneto ha conosciuto una riduzione degli organici di 1.924 operatori sanitari, ma i medici “persi” sono stati solamente 73. La Toscana, come la Lombardia, ha potenziato il numero di medici: +97. L’Emilia Romagna ha limitato i danni con -1.328 dipendenti e -102 medici. La Campania ha anche il record, poco invidiabile, di infermieri persi: -3.251. Un progressivo depauperamento di risorse umane che ha svuotato gli ospedali di personale e competenze. E che ha aumentato, nel corso degli anni, il gap Nord-Sud.

In Puglia, ad esempio, dove si conta una popolazione di 4,1 milioni di abitanti, attualmente il personale sanitario a tempo indeterminato impegnato negli ospedali supera di poco le 35mila unità; in Emilia Romagna (4,4 milioni) i dipendenti sono invece oltre 57mila, in Veneto (4,9 milioni) quasi 58mila, in Toscana (3,7 milioni) sono quasi 49mila, in Piemonte (4,3 milioni) sono 53mila, e non parliamo della Lombardia dove si sfiorano le 100mila unità. La Campania, che ha 5,8 milioni di residenti, può contare soltanto su 42mila operatori sanitari, persino il Lazio (5,8 milioni di abitanti) ha appena 41mila dipendenti a tempo indeterminato al lavoro nella sua sanità.

CORTE DEI CONTI

Se ci fosse bisogno ancora di una conferma delle “due Italie” prodotte da una iniqua ripartizione del fondo sanitario nazionale, ecco che la prova la consegna direttamente la Corte dei conti nel suo “Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica”. Parlare di liste di attesa e mobilità passiva a fronte di questi numeri diventa quasi superfluo: come si può chiedere alla Puglia, a quasi parità di popolazione, di riuscire a svolgere lo stesso numero di esami e visite mediche che si riescono a fare in Emilia Romagna che ha 22mila lavoratori in più?

«Negli ultimi due anni – scrivono i giudici contabili – sono divenuti più evidenti gli effetti negativi di due fenomeni diversi che hanno inciso sulle dotazioni organiche del sistema di assistenza: il permanere per un lungo periodo di vincoli alla dinamica della spesa per personale e le carenze, specie in alcuni ambiti, di personale specialistico. Come messo in rilievo di recente, a seguito del blocco del turn over nelle Regioni in piano di rientro e delle misure di contenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni (con il vincolo alla spesa), negli ultimi dieci anni il personale a tempo indeterminato del Sistema sanitario nazionale è fortemente diminuito». Le regioni in Piano di rientro sono quelle del Sud che per anni (10 la Puglia, per esempio), essendo sotto il controllo dei ministeri della Salute e dell’Economia, non hanno potuto assumere.

ASSUNZIONI A TERMINE

«Tra il 2012 e il 2017 – si legge ancora nella relazione della Corte dei conti – il personale (sanitario, tecnico, professionale e amministrativo) dipendente a tempo indeterminato in servizio presso le Asl, le Aziende ospedaliere, quelle universitarie e gli Irccs pubblici è passato da 653 mila a 626 mila, con una flessione di poco meno di 27 mila unità (-4%). Nello stesso periodo il ricorso a personale flessibile in crescita di 11.500 unità ha compensato questo calo solo in parte: si tratta in prevalenza di posizioni a tempo determinato, che crescono del 36,5 per cento (passando da 26.200 a 35.800), e di lavoro internale, che registra una variazione di poco meno del 45 per cento (da 4.273 a 9.576 unità)».

Ma, ovviamente, le assunzioni a tempo determinato non possono sopperire alla carenza negli organici per un semplice motivo: si tratta di personale che dopo 6 o 12 mesi non si vede rinnovare il contratto e si è punto e accapo. «La riduzione del personale – mette in rilievo la Corte dei Conti – ha assunto caratteristiche e dimensioni diverse tra Regioni in Piano di rientro (cioè quelle del Sud, lo ricordiamo, ndr) e quelle non in Piano».


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