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“Green” è il colore della speranza. Ed è anche il colore del semaforo verde.

Lo sanno i “tifosi” del “No-Sem”, che prendono garbatamente in giro i fautori dei “No-Vax”, auspicando, in nome della famosa ‘libertà’, l’abolizione di quei dittatoriali semafori che mettono in gabbia le nostre scelte.

E la presa in giro potrebbe attagliarsi anche ai “No Green Pass”, ricordando che il semaforo verde serve ad evitare gli incidenti che deriverebbero dal “liberi tutti”. Insomma, il Green Pass è indispensabile per evitare che il virus “passi col rosso”, portandosi appresso morti e feriti.

Nella diuturna e ormai lunga lotta fra i contagi (che uccidono le persone) e le restrizioni (che uccidono l’economia) si sono sperimentati millanta modi per procedere su quello stretto crinale. La storia si ripete con desolante regolarità: le restrizioni funzionano e il successo porta ad allentarle.

L’allentamento ingenera sollievo e imprudenze, e bisogna ricominciare con le restrizioni. Non solo in Italia ma anche in altri Paesi, si è visto che “bisogna stare peggio prima di stare meglio”: le restrizioni, invece di colpire “subito e duro”, come hanno fatto i Paesi che più di altri hanno saputo tenere il virus sotto controllo, vengono introdotte solo dopo che il Covid-19 ha ripreso la corsa, più o meno esponenziale.

Come conciliare l’anelito a una vita normale (che richiede poche restrizioni) con il controllo della pandemia (che ne richiede molte)? Il Green Pass, che l’Italia va adottando sulla scia di altri Paesi, è un modo intelligente per rendere l’anelito compatibile con il controllo. Invece di chiudere, si tiene aperto, purché clienti e avventori, fornitori e acquirenti, lavoratori e autonomi, operatori della sanità e dell’istruzione, diano prova di essersi protetti, con vaccini e test. Con ciò spingendo anche alla vaccinazione che – ormai è chiaro dopo aver appurato che il 99% dei decessi è fra coloro che non erano vaccinati – è il solo modo per sconfiggere il virus e tornare alla vita normale.

Una vita normale: è quello che vogliono tutti, anche i “No Green Pass”. Il problema è che ci sono ricette buone e ricette cattive: e quelle dei “No Green Pass” ci spingerebbero di nuovo verso una vita anormale. L’Italia ha fame di ripartenza, e lo si vede anche dai dati di ieri, che rivelano un diffuso ritorno della fiducia, sia presso le famiglie che presso le imprese (coralmente, sia nel manifatturiero che nelle costruzioni, nei servizi, nel commercio al dettaglio…). È vero, queste rilevazioni sono dell’inizio del mese, prima che i contagi riprendessero la corsa. Ma questo rende di tanto più urgente la ricerca di modi efficienti per fermare i contagi delle persone prima che venga contagiata anche l’economia.

La ‘fame di ripartenza’ ha oggi davanti una tavola imbandita dal Pnrr. A questa tavola siedono, pronti, col tovagliolo e la forchetta, tutti gli italiani, ma specialmente gli abitanti del Mezzogiorno. La giustizia in Italia, si sa, va a rilento, e il Sud attende da decenni che sia fatta giustizia di una iniqua distribuzione delle risorse pubbliche. Il Pnrr ha oggi, per il Sud, il colore verde della speranza di una (tardiva) giustizia. Non possiamo permettere che un’altra giostra di contagi e di restrizioni venga a intralciare l’operatività del Pnrr.

Il Green Pass offre la possibilità di confortare la mobilità delle persone e di confermare l’afflato della ripresa. Guardiamo pure all’esperienza degli altri Paesi che lo stanno introducendo, scambiamoci pure le “best practices” così da renderlo il più possibile semplice ed efficace. Come il semaforo, il Green Pass ha dei costi: per il semaforo, l’attesa del rosso – per il Green Pass, un po’ di complicazioni nella vita quotidiana. Ma, in tutti e due i casi, i benefici – attuali e potenziali – sono molto più grandi dei costi.


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