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Il governo Meloni dà il via libera all’autonomia differenziata, si allarga la forbice della spesa pubblica in sanità. Anche nel 2019, infatti, anno pre Covid, le Regioni del Nord hanno registrato un maggiore investimento in cure e prevenzione rispetto al Mezzogiorno. Tutte le regioni del Sud, ad esclusione del Molise, hanno una spesa inferiore alla media nazionale, pari a 1.961 euro.

Fanalino di coda è la Campania con 1.820 euro, segue la Calabria con 1.868 euro, poi il Lazio (1.875), Sicilia (1.884), Puglia (1.888), Basilicata (1.902). Al contrario quasi tutte le regioni del Nord hanno una spesa pro capite superiore alla media: Liguria 2.132 euro, Friuli Venezia Giulia 2.129, Valle d’Aosta 2.096 euro, Emilia Romagna 2.067 euro, Toscana 2.032 euro, Lombardia 2.000. Fa eccezione il Veneto con 1.941 euro, superiore alle regioni del Mezzogiorno ma lievemente inferiore alla media nazionale.

Nel biennio 2020-2021 la spesa sanitaria è in aumento, soprattutto in virtù degli effetti pandemici ma lo è sempre in favore del Nord. L’Italia, nel complesso, continua, tuttavia, a spendere meno dei partner europei, pur reggendo il confronto nell’efficienza.

“Le maggiori risorse impiegate nella sanità – scrive la Corte dei Conti- hanno interrotto il trend decennale di contenimento della spesa nel settore, con prospettive di ritorno ai livelli pre-pandemia, ma sono ancora ampi i divari tra le Regioni”. Una situazione non nuova, i dati non sorprendono affatto visto che si ripetono ormai da circa 20 anni ma ora l’autonomia differenziata potrebbe spaccare ulteriormente un Paese già diviso. Una situazione che si è incancrenita per colpa anche, ma non solo, del criterio della spesa storica applicato al riparto del fondo sanitario nazionale.

I numeri, certificati dalla Corte dei Conti, parlano chiaro e sono a prova di smentita: dal 2012 al 2017, nella distribuzione del fondo, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%; altrettante regioni del Sud, invece, già penalizzate perché beneficiare di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno.

Significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Ecco come è lievitato il divario tra le due aree del Paese: “Le politiche di finanziamento dei sistemi sanitari – evidenzia la Corte dei Conti – condizionano l’accessibilità alle cure, la qualità dei servizi e la stessa efficienza dell’organizzazione del sistema sanitario. Il tema del finanziamento del Servizio sanitario nazionale costituisce, dunque, momento fondamentale della problematica connessa alle esigenze di tutela della salute, in virtù dello stretto legame tra l’effettività di tale diritto, costituzionalmente garantito, e le risorse disponibili e investite per renderlo concreto e sostenibile”.

Qualcosa dovrebbe cambiare nel riparto del fondo nazionale visto che, dopo un lungo braccio di ferro tra Sud e Nord, in particolare tra Campania e Lombardia, le Regioni, nelle scorse settimane, hanno trovato un accordo sui nuovi criteri che, almeno parzialmente, vanno a mitigare gli effetti nefasti dell’applicazione tout court della spesa storica. I governatori hanno raggiunto l’intesa sulla nuova proposta elaborata dalle commissioni Salute e Affari finanziari su come spartirsi le risorse per far andare avanti la sanità. L’intesa prevede che per il 2022 venga riproposto il criterio utilizzato, in via eccezionale, per il riparto 2021: in sostanza, l’85% delle risorse verrà suddiviso attraverso la pesatura per età della popolazione, mentre il restante 15% è ripartito sulla base della popolazione residente riferita al primo gennaio 2021.

E’ stato inserito nel riparto anche un maggiore peso (1,5%) in funzione dei tassi di mortalità della popolazione <75 anni, in funzione delle condizioni socioeconomiche dei territori (povertà relativa individuale, livello di bassa scolarizzazione, tasso di disoccupazione). Insomma, i famosi indici di deprivazione più volte invocati dalle regioni del Sud. Chiesto anche qui al governo di far salire la premialità allo 0,5%. Il risultato finale è che il fondo sanitario è distribuito più equamente, ma le differenze restano.

Ad esempio, alla Puglia andranno circa 1.970 euro pro capite, quasi alla pari del Veneto e della Lombardia che ne riceveranno 1.972 circa. La Campania, invece, otterrà circa 1.915 euro pro capite, qualcosa in più per la Calabria, 1.947 euro pro capite, e per la Basilicata, 1.966 euro per ogni suo residente. Ma incasseranno di più Emilia Romagna (2.028 euro pro capite), Toscana (2.025) e Piemonte (2.011 euro a testa per ogni residente). In totale, per il sistema Paese ci sono 125,9 miliardi anche se la quota indistinta, quella al netto del finanziamento per la soppressione del cosiddetto superticket, della fibrosi cistica e del DL 34/2020 nonché dei finanziamenti già ripartiti in sede di legge di bilancio 2022 (abbattimento liste di attesa e Usca) ammonta a 117,9 miliardi.


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