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Un report dell’Istat segnala nel 2022 un forte calo dei protesti per assegni e cambiali (-7,7%) e il merito è quasi tutto del Sud. Ma resta forte il gap fra le famiglie: al 5% di quelle ricche va il 46% della ricchezza totale

A SORPRESA l’Istat smentisce uno dei luoghi comuni sul Sud cattivo pagatore: l’ultimo report sui protesti bancari del 2022 mostra invece che i clienti più virtuosi e in regola con il pagamento di assegni e cambiali si trovano al Sud, che in questa speciale classifica fa meglio del Nord-Est. Nel 2022, in particolare, c’è stato un calo del 7.7% dei protesti bancari che si sono assestati sui 242 milioni di euro. Il trend positivo ha interessato tutto il Paese, con variazioni rispetto al 2021 che oscillano da -18,8% nel Sud a -1,7% nel Centro; fa eccezione il Nord-ovest che segna un aumento del 4,2%. Il calo si osserva in quasi tutte le regioni con differenze accentuate: da -31,3% in Calabria a -1,8% in Liguria. Soltanto Lombardia e Lazio hanno variazioni positive (rispettivamente +8,1% e +5,7%).

Le cambiali protestate coprono l’88,1% dei protesti (224.899), raggiungono quote più elevate al Sud (98,8%), nel Nord-est (98,6%) e nelle Isole (97,7%) e risultano associate più alle persone che alle imprese; gli assegni sono 30.303, l’11,9% del totale dei protesti, con quote più alte al Centro (27,1%) e nel Nord-ovest (14,9%). Diversamente dalle cambiali, gli assegni sono più a carico delle imprese.

Non vanno, invece, nella stessa direzione i dati diffusi dalla Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie, sempre più concentrata nelle mani di pochi. Un trend che diventa particolarmente significativo se consideriamo il patrimonio delle famiglie. Secondo un’indagine della Banca d’Italia, infatti, il 5% dei nuclei familiari più abbienti detiene oltre il 46% della ricchezza netta totale.

E, considerando che le famiglie più povere, come mostrato anche dalle statistiche dell’Istat, sono concentrate ancora nel Mezzogiorno, il gap fra ricchi e poveri si riflette, inevitabilmente, anche sulla distribuzione territoriale del patrimonio disponibile. Il fenomeno è cominciato da tempo, almeno a partire dal 2010, per toccare un picco sei anni dopo e stabilizzarsi fino al 2020, l’anno del Covid. Poi, dopo la pandemia, la distanza fra le poche famiglie ricche e quelle povere è tornata ad aumentare nel 2021 per calare, sia pure di poco, nel 2022. Il report della Banca d’Italia riunisce i nuclei familiari in tre gruppi, quello più ricco, la fascia mediana e quella più povera. Inoltre, mentre le famiglie meno abbienti detengono principalmente abitazioni e depositi, quelle più ricche diversificano ulteriormente, possedendo azioni, partecipazioni e altre attività finanziarie complesse.

Considerando più nel dettaglio la composizione del portafoglio dei nuclei familiari, si scopre che nel 2010, la classe centrale deteneva circa la metà del patrimonio abitativo, ma questa percentuale è scesa al 45% nel 2022, principalmente a vantaggio della fascia più ricca. Nel medesimo periodo, le famiglie più abbienti hanno aumentato la loro quota di depositi del 40%, raggiungendo la metà del totale, mentre la quota detenuta dalle famiglie al di sotto della mediana è diminuita notevolmente. Le attività non finanziarie non residenziali, che includono investimenti in società di piccole dimensioni, erano prevalentemente possedute dal decimo più ricco, rappresentando circa due terzi della loro ricchezza. Al contrario, le famiglie della classe centrale detenevano il 28% di queste attività alla fine del 2022. Nel periodo dal 2010, si è osservata una riduzione della quota posseduta dalle famiglie più ricche, mentre la classe centrale ha sperimentato un notevole aumento. In sintesi, l’analisi dettagliata della distribuzione della ricchezza in Italia rivela disparità significative nella composizione del patrimonio delle famiglie. Le abitazioni svolgono un ruolo chiave, ma la diversificazione del portafoglio è una caratteristica distintiva delle famiglie più ricche.

“La comprensione di tali dinamiche – scrivono nel report gli esperti di Via Nazionale – è essenziale per sviluppare politiche mirate a promuovere una distribuzione più equa della ricchezza nella società italiana”. Una redistribuzione che deve fare i conti anche con un altro parametro: quello delle famiglie in povertà assoluta. Secondo un’indagine dell’Istat, infatti, se è vero che nel 2022 si trovavano in condizione di povertà assoluta poco più di 2,18 milioni di famiglie (8,3% del totale da 7,7% nel 2021) e oltre 5,6 milioni di individui (9,7% in crescita dal 9,1% dell’anno precedente) l’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10,7%, da 10,1% del 2021), con un picco nel Sud (11,2%), seguita dal Nord-est (7,9%) e Nord-ovest (7,2%); il Centro conferma i valori più bassi dell’incidenza (6,4%). Un peggioramento che, secondo l’Istat, è imputabile in larga misura alla forte accelerazione dell’inflazione. L’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie con almeno uno straniero è pari al 28,9%, si ferma invece al 6,4% per le famiglie composte solamente da italiani.


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