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Immagini della devastazione in Romagna

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Nessuna emergenza imprevista, in Romagna un disastro annunciato. I rischi di frane e alluvioni denunciati da anni dall’Ispra

Non è un’emergenza. La catastrofe che si è abbattuta sull’Emilia Romagna con morti e distruzioni, ha tutte le caratteristiche di un film già visto. Un trailer troppe volte passato sui nostri schermi. Ora, come hanno dichiarato tutti, bisogna pensare a mettere in salvo le persone. Poi a ricostruire e risarcire. E poi?

Il ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, ha rilanciato sulla prevenzione: «Dobbiamo convivere con il cambiamento climatico. Dopo aver visto certe immagini, nessuno potrà più chiedersi “se” un evento simile accadrà dalle mie parti, deve chiedersi “quando” accadrà, perché quello che è accaduto in Emilia-Romagna, ieri è accaduto a Ischia, nelle Marche, e può accadere dal Trentino alla Sicilia. Il cambiamento impone all’uomo di adattarsi».

UN PIANO ANTI-DISSESTO

Il ministro ha annunciato un nuovo piano nazionale contro il dissesto idrogeologico. Un provvedimento che – assicura Musumeci – dovrebbe essere varato con urgenza con interventi operativi già entro la prima metà del 2024. I problemi da affrontare sono sempre gli stessi: dal cambiamento climatico ai , territori sfregiati, alla siccità: non si scopre nulla di nuovo.

Sarno (nel 1998) con 161 morti è stato – come si legge sul sito della Protezione civile – il più grave disastro idrogeologico che ha colpito l’Italia negli ultimi 50 anni dopo il Vajont (1963) e Stava (1985): ha fatto scuola, ma non ha insegnato nulla.

Basta scorrere la lunga lista di alluvioni che hanno devastato l’Italia dal 2000 in poi per verificare l’alternarsi di disastri dal Piemonte e Veneto, dalla Puglia alla Sicilia, dalla Basilicata alla Calabria, passando per Ischia (più frane nel 2006 e 2022) e la Liguria.

Questa non è una emergenza che, come recita la Treccani, è «una circostanza imprevista». L’Ispra da anni consegna l’immagine di un Paese ad altissimo rischio. L’ultimo report sul dissesto idrogeologico relativo al 2021 fa tremare i polsi. A rischio frane risulta infatti il 2,2% delle famiglie italiane, l’1,8% delle industrie e servizi, il 5,9% dei beni culturali, il 3,9% degli edifici, mentre per quanto riguarda le alluvioni i numeri sono ancora più allarmanti: il rischio riguarda infatti l’11,8% delle famiglie, il 13,4% di industrie e servizi, il 16,5% dei beni culturali, il 10,7% degli edifici. Sono ad alto rischio quasi ottomila Comuni, il 93,9% del totale.

Ancora una volta si rivendicano interventi urgenti. Il sindaco di Bari, Antonio De Caro, presidente dell’Anci, ha ribadito l’importanza dei fondi del Pnrr. «Se semplifichiamo le procedure per spendere, è chiaro che riusciamo a mettere in sicurezza il nostro territorio in modo più celere per non trovarci tra qualche anno a raccontare un’altra tragedia in un altro posto».

ALLUVIONE IN ROMAGNA, GLI ALLARMI IGNORATI

Anche la situazione dell’Emilia Romagna, sempre secondo l’Ispra, era ampiamente conosciuta. La regione era indicata tra quelle in cui le percentuali di territorio potenzialmente allagabile e di popolazione esposta a rischio di alluvione per i tre scenari di pericolosità risultano superiori rispetto ai valori calcolati su scala nazionale.

L’Istituto, in un recente studio, aveva censito anche 620mila frane per l’8,2% del territorio coinvolto. Si tratta di fenomeni favoriti dalla particolarità del territorio italiano, dagli eventi meteo estremi, ma anche dal consumo di suolo che ha interessato le superfici agricole. In Italia vengono distrutti 2,2 metri quadrati al secondo. E se il ritmo non rallenterà, nel 2050 la cancellazione di suolo arriverà a 1.800 chilometri quadrati.

E anche su questo fronte ha vinto la politica del laissez faire. È del 2012 una legge del governo Monti finalizzata a fermare la cementificazione selvaggia, ma sono passati più di dieci anni… per non approvarla.

Se, dunque, contro la furia del maltempo poco si può fare, con adeguate strategie di tutela dei territori e infrastrutture è possibile quantomeno limitare i danni e, soprattutto, le vittime. I disastri di oggi in Emilia Romagna e di ieri in altre regioni sono infatti dovuti anche alla mancata o scarsa manutenzione del territorio. E alla diminuzione di terreni in grado di assorbire l’abbondante acqua piovana.

ACQUE, UNA MINACCIA DA GESTIRE

«Senza sicurezza nella gestione delle acque – dice Francesco Vincenzi, presidente dell’ Anbi nazionale e dell’Emilia Romagna (Associazione nazionale dei Consorzi per la gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue) – non può esserci sviluppo». Da qui l’appello del direttore generale Massimo Gargano «a una necessaria nuova cultura del territorio, perché ormai l’estremizzazione degli eventi atmosferici non è più un’eccezione».

Gli oltre 7.600 corsi d’acqua del nostro Paese, secondo l’Anbi, rappresentano una potenziale minaccia. Molti torrenti esondati, erano a secco per la siccità fino a qualche settimana fa. Tra le cause, certo, la violenza degli acquazzoni, ma anche il progressivo spopolamento.

Il primo diktat è dare il via libera alle infrastrutture liberandole, almeno quelle idriche, dalle pastoie burocratiche che le bloccano. Coldiretti e Anbi da anni hanno presentato un progetto per la realizzazione di bacini di accumulo in grado di trattenere l’acqua a monte evitando o comunque attutendo le criticità.

Non solo. L’acqua “in cassaforte”, (oggi viene trattenuta non più dell’11 per cento di quella piovana) potrebbe essere restituita nei periodi di siccità, mettendo così i terreni in condizione di assorbire meglio le bombe d’acqua. Infine, i “laghetti” potrebbero essere utilizzati anche per produrre energia.
«Investire nei bacini di accumulo – aveva detto in tempi non sospetti il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – è fondamentale per la sicurezza di tutto il Paese, conservando l’acqua in eccesso per ridistribuirla quando serve». Ora non ci sono più alibi: i progetti ci sono e anche i soldi del Pnrr, del Fondo di coesione e del REpowerUe.

Poi bisogna valorizzare l’agricoltura. Proprio gli eventi estremi che trovano gli agricoltori impotenti ad affrontarli sono tra le cause del loro allontanamento. I danni da maltempo, solamente lo scorso anno, hanno superato i sei miliardi di euro. Ora il disastro in Emilia e Romagna ha inferto un colpo gravissimo. Senza dimenticare le vittime, tra le quali anche agricoltori.

I DANNI PER L’AGRICOLTURA

Secondo il primo monitoraggio della Coldiretti «sono finite sott’acqua oltre 5mila aziende agricole con serre, vivai e stalle dove si contano animali affogati e decine di migliaia di ettari allagati di vigne, kiwi, susine, pere, mele, ortaggi e cereali e strutture di lavorazione dei prodotti agricoli. Difficile anche garantire l’alimentazione degli animali».

Il settore più colpito è l’ortofrutta col rischio di mandare in crisi una intera filiera. I danni? Ancora incalcolabili. Per questo, se la priorità è mettere in salvo le persone, subito dopo bisognerà pensare a sostenere le imprese. Il presidio degli agricoltori è la “cura” migliore dei terreni.

Ecco perché bisogna essere molto cauti nel non cadere nelle trappole degli ambientalisti “da salotto” che, in nome della sostenibilità a tutti i costi, sono pronti a buttare a mare produzioni e allevamenti, oltre che a difendere a oltranza gli animali selvatici che distruggono i raccolti e spingono i coltivatori a chiudere le aziende. Se male interpretato, il Green Deal sostenuto da Bruxelles può diventare letale. Aggravando il dissesto idrogeologico in Italia, ma anche negli altri Paesi Ue e rafforzando le delocalizzazioni in quelle aree del mondo che, per i livelli elevatissimi di inquinamento, hanno le maggiori responsabilità dell’impatto sul clima.


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