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Poche settimane fa è stata pubblicata la classifica dei principali nodi ferroviari del Paese; in particolare la top ten è di seguito riportata: Interessante, per le cose che dirò dopo, la dichiarazione del Presidente dell’interporto di Verona Matteo Gasparato: «Oltre ad essere orgoglioso, in quanto presidente del Consorzio ZAI, dell’interporto di Verona che è anche il secondo scalo in Europa dopo Brema, ritengo utile ricordare che la strategia del Quadrante Europa è quella di aspirare a diventare il gateway dei porti italiani, raccogliendo merci da questi ultimi e distribuendole in tutta l’Europa e viceversa.

Tutto ciò puntando sull’idea che un interporto non può ragionare come infrastruttura a sé stante ma insieme al sistema dei trasporti locali, nazionali ed internazionali e alla rete ferroviaria: la sinergia e l’integrazione tra porti e interporti può essere elemento di sviluppo futuro per tutti, portando i porti italiani a servire mercati sino ad oggi mai approcciati e inserendo gli interporti in catene logistico – intermodali globali che sino ad oggi non li avevano minimamente coinvolti. Il tutto, via ferrovia, in un’ottica di sempre maggiore sostenibilità del trasporto».

Questa dichiarazione è stata fatta da chi gestisce una piastra logistica che nel 2019 ha movimentato 28 milioni di tonnellate di merci di cui 8 milioni via treno, è stata fatta da parte i chi presiede un interporto che movimenta il 75% dei traffici ferroviari con la Germania attraverso il Brennero.

La rete dei primi dieci interporti è ubicata tutta nel nord del Paese e il Presidente del primo interporto auspica una ottimizzazione di questa grande potenzialità logistica attraverso la integrazione di tali nodi con la serie di realtà portuali ubicate sempre al nord; una integrazione che è possibile attuare con un limitato numero di interventi in un arco temporale accettabile.

Invece cosa succede da Roma in giù, in realtà dovremmo chiederci quali siano le logiche portate avanti da coloro che gestiscono i nodi logistici di Roma Nord, di Fiumicino, di Pomezia, di Nola Marcianise, di Battipaglia, di Bari Lamasinata, di Tito in Basilicata, di Catania e di Palermo. Purtroppo la risposta è che intanto nessuno di questi nodi intermodali fa parte dei primi dieci interporti del Paese ma, cosa ancor più grave, non esiste attualmente e non lo è neppure nel breve periodo una possibile integrazione con gli impianti portuali del Mezzogiorno.

Ho parlato nel titolo di sistema consolidato perché non avendo in tutti questi anni, in particolare negli ultimi sei, dato vita ad interventi organici proprio nei nodi della logistica del Sud e della loro integrazione con gli impianti portuali, sia con le risorse previste dai Fondi Europei di Sviluppo Regionale, sia attuando i progetti previsti nel Programma delle Infrastrutture Strategiche della Legge Obiettivo, è oggi difficile reinventare l’articolazione della offerta logistica del Paese.

Ed è davvero interessante soffermarsi su un dato: le attività logistiche producono per ogni tonnellata di merce movimentata un valore aggiunto variabile tra 12 e 15 euro e, siccome nei soli dieci interporti prima richiamati si movimentano circa 80 milioni di tonnellate, si ottiene che il valore aggiunto globale di una simile attività assicura annualmente al teatro economico del Nord un valore di circa 1,2 miliardi di euro.

Nessuno intende intaccare questa consolidata attività del sistema logistico del nord del Paese, nessuno intende incrinare questa ormai storica funzione strategica, chi lo pensasse sarebbe solo irresponsabile in quanto si metterebbe in crisi un teatro di convenienze così forte e così positivo ma vorremmo, quanto meno, con la massima urgenza e con la massima concretezza, dare vita ad una politica che sia in grado di capire che alcune filiere produttive, come ad esempio quelle del comparto agroindustriale, potrebbero benissimo trovare ubicazione ottimale all’interno di piastre logistiche ubicate nel Mezzogiorno, potrebbero essere addirittura supportate da impianti portuali ricchi di banchine e di attrezzature adeguate per la movimentazione ma ancora oggi non funzionalmente collegati con gli interporti dello stesso Mezzogiorno.

Basterebbe, a mio avviso, solo un approfondimento su questa filiera, basterebbe rendere cioè il Sud un grande HUB agroindustriale del Paese per regalare in poco tempo al Sud le condizioni per una nuova crescita, la prima dopo l’unità di Italia e per fare questo occorre rispettare una condizione obbligata: la definizione e l’attuazione di una simile proposta non è di una Regione ma delle Regioni del Mezzogiorno che non assumono le caratteristiche di una macro Regione ma rivestono il ruolo di chi vuole fare in modo che il Mezzogiorno sia una tessera efficiente ed efficace del mosaico Paese.


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