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Lino Banfi nei panni dell'allenatore del pallone Oronzo Canà

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È un grande appassionato di calcio e tifoso romanista. Ma è stato anche un celebre allenatore, almeno in versione cinematografica. Lui è Lino Banfi, cresciuto a Canosa di Puglia e trapiantato a Roma dalla prima metà degli anni Sessanta, quando è iniziata la sua ascesa come attore.

Nel 1984 – tuta blu della Nr, fischietto al collo e visiera rossa sulla fronte – è Oronzo Canà, pittoresco mister della Longobarda nel film L’Allenatore Nel Pallone, a cui nel 2008 è seguito L’Allenatore Nel Pallone 2.

Lino Banfi, che oggi è anche ambasciatore Unicef e Unesco, ha parlato con LunedìFilm del suo rapporto con il calcio e con la Nazionale a pochi giorni dall’inizio degli Europei.

Dove vedrà le partite?

«Le vedrò da solo, a casa. In genere non c’è nemmeno mio figlio, nonostante abiti al piano sotto al mio. Lui le vede con gli amici. Sa, è una questione scaramantica…».

Per scaramanzia non getta il sale prima delle partite come faceva Oronzo Canà?

«No, il massimo dei miei gesti apotropaici è urlare. Quindi niente sale. E niente galletti».

Galletti?

«Sì, per fare Oronzo Canà ci siamo ispirati a un allenatore esistito davvero: Oronzo Pugliese. Lui si portava un galletto ed era solito lasciarlo scorrazzare a bordo campo prima delle partite come rito propiziatorio. Poi se lo metteva sotto l’impermeabile e quando la sua squadra segnava, lo tirava fuori suscitando grande ilarità ed euforia nei tifosi».

Che impressione le fa questa Nazionale italiana?

«Molto buona, finora hanno vinto quasi sempre. Vediamo ora che succede all’esordio, contro “Mamma li turchi”. Mi sembra che ci sia molta unità tra i calciatori e l’allenatore. E questo è un aspetto importantissimo. Lo so bene, dall’alto della mia esperienza in panchina».

Se lei fosse l’allenatore dell’Italia, che modulo adotterebbe?

«Farei contemporaneamente il 5-5-5 e la Bizona, che mischiati creano ancora più “casino” e fanno capire agli avversari che l’Italia è una squadra da temere».

Ha qualche ricordo dell’unico Europeo vinto dall’Italia, proprio all’Olimpico, nel 1968, contro la Jugoslavia?

«Non ho un ricordo nitido. Mi ricordo piuttosto il Mondiale vinto nel 1982».

Tutti gli italiani che erano già nati conservano ricordi piacevoli di quell’evento…

«Ma io ricordo in particolare ciò che avvenne poco prima nei quarti di finale contro il Brasile, che si disputò di pomeriggio».

È il ricordo di un’esperienza personale?

«Sì. Mi trovavo a Canosa per il funerale di mia madre. Era luglio, faceva molto caldo, l’inizio slittò perché dovettero portare il feretro da un quarto piano. Tutti i presenti al corteo funebre guardavano l’orologio, sudavano per il caldo e anche per la fretta, perché di lì a poco sarebbe iniziata la partita. Così chiesi all’autista del carro funebre di accelerare un po’ e, come conseguenza, le persone dietro al carro iniziarono quasi a correre. Era una scena comica, così a un certo punto mi fermai, mi rivolsi ai presenti e dissi: “Signori, grazie a tutti di cuore. Ma ora tornate pure a casa a vedere la partita, che tra un po’ ci torno anch’io”. Dopo quelle parole sparirono tutti in un baleno. Il carro riprese il suo percorso a velocità normale con noi parenti dietro, ma il funerale si celebrò con calma la mattina successiva».

Torniamo ad oggi. Da tifoso romanista è felice della presenza di Florenzi, Spinazzola, Cristante e Pellegrini tra gli azzurri?

«Sì, molto, sono tre elementi che potranno dare il loro contributo. Ho un debole per Spinazzola, che sulla fascia a volte sembra devastante. È reduce da un infortunio, ma credo che si stia riprendendo».

A causa di un infortunio non farà parte del gruppo azzurro un altro romanista, il lungodegente Niccolò Zaniolo…

«Mi dispiace molto. Ha avuto due interventi. Credevo che recuperasse per l’Europeo, così non è stato. Ma ha un futuro davanti».

L’incoraggiante futuro in maglia giallorossa di Zaniolo è propiziato dall’arrivo in panchina di Mourinho…

«Mourinho è stato un mio grande allievo. Era da anni che lo volevo sulla panchina della Roma chiamandolo “Mo”, che in pugliese significa “adesso”. Ecco, ho aspettato un po’ ma finalmente è arrivato. Sono molto fiducioso: i presidenti americani non l’avrebbero preso se non avessero intenzione di comprargli almeno 3-4 giocatori forti».

Ma il suo cuore è diviso a metà tra Roma e Bari?

«Vivo a Roma da sessantacinque anni, perciò i pugliesi mi hanno ormai perdonato il tifo per la Roma, che è un gesto di riconoscenza per la città che mi ha dato il successo e il benessere. Mi ha perdonato anche la famiglia Matarrese, per anni alla guida del Bari, o della Bari, come dicono i tifosi baresi».

Come è nata la passione per la Roma?

«È nata grazie a un bel piatto di Amatriciana! Ero da poco a Roma, un giorno mentre ero al teatro Ambra Jovinelli a cercare di essere scritturato per qualche spettacolo, chiesero a me e ad altri se fossimo disponibili ad accompagnare portatori di handicap allo stadio. Io accettai subito, anche perché era l’occasione di entrare gratis. Per primo mi capitò un tifoso della Lazio magrolino, che aveva l’abitudine di recarsi allo stadio intorno alle due del pomeriggio senza passare prima a mangiare qualcosa. Una volta mi capitò di accompagnare uno della Roma, bello grassottello: era più pesante da spingere sulla carrozzina, però mi propose di fermarci a mangiare una bella Amatriciana. Da quel giorno iniziò, piano piano, il mio tifo per la Roma. Negli anni sono diventato amico di diversi giocatori, nonché di presidenti come Dino Viola e Franco Sensi».

A proposito di giocatori della Roma, celebri gli sfottò di Pruzzo, Chierico e Graziani ad Oronzo Canà dopo un 5 a 1 dei giallorossi sulla Longobarda.

«Nella scena in cui Graziani si divertiva a ironizzare sui miei capelli, io gli dissi: “Gioca, gioca… ma un giorno sarai più pelato di me”. Non l’avessi mai detto! Oggi Graziani, completamente calvo, mi dice: “Mister, quel giorno mi hai mandato una maledizione!”».


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