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Alcuni dei brigatisti arrestati

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Il vento sull’Italia è cambiato e dunque è cambiata anche la politica francese nei nostri confronti: ieri all’alba sono stati catturati sette brigatisti Rossi o terroristi di altre organizzazioni come Lotta Continua come rifugiati e che sono in via di consegna alla magistratura italiana affinché possano scontare quel che resta delle condanne cui si sono sottratti grazie alla compiacenza francese.

È stato il presidente Macron a darne notizia ieri con impeccabile faccia tosta: ha detto infatti che essendo state molto pressanti e continue le richieste italiane per avere i latitanti condannati per terrorismo, l’Eliseo aveva deciso di concedere all’Italia quanto richiesto, contribuendo così ad una migliore politica comune e tutte le altre chiacchiere di circostanza. Il fatto è che l’Italia finora era stata beffata e che soltanto adesso si vede trattata come un paese di serie A.

Ciò dipende – supponiamo – dalla presenza di Mario Draghi al governo e anche dal fatto che Macron è in campagna elettorale contro Marie Le Pen. È anche un fatto notevole è che un altro presidente, il brasiliano Lula, appena scarcerato dopo aver passato un periodo di detenzione per accuse di malversazioni, abbia detto di essersi sbagliato quando concesse fraterna ospitalità al brigatista terrorista Cesare Battisti, il quale dopo aver passato molti anni di vita serena a Parigi protetto dalla intellettualità della capitale francese, aveva preferito tagliare la corda perché sentiva puzzo di bruciato. Battisti, nel frattempo era già stato assicurato alla giustizia.

Dunque, molte cose stanno cambiando ma non abbiamo la più pallida idea se Giorgio Pietrostefani, Marina Petrella, Enzo Calvitti, Roberta Cappelli e Sergio Tornaghi, coloro che sono stati per ora messi a disposizione delle autorità italiane, apriranno bocca o la terranno chiusa per sempre. Alcuni di loro hanno già detto di essere irriducibili, cioè non pentiti e non collaborativi, di essere pronti a stare e morire in carcere, senza cedere un solo centimetro o minuto. Non sappiamo ancora se davvero lo faranno e quanti prenderanno questa posizione.

Sarebbe interessante – e ci permettiamo di suggerirlo ai deputati e senatori che fanno le leggi – provare a fornire ai nostri magistrati uno strumento di pentimento tardivo: poiché adesso siete qui, siete vecchi, e dovreste passare una infernale vecchiaia in catene, potreste provare a barattare come hanno fatto gli altri pentiti una parte della vostra libertà in cambio della verità su tutto ciò che è accaduto negli anni Settanta e Ottanta?

Prima di tutto il rapimento, l’interrogatorio, l’esecuzione di Aldo Moro dai suoi carcerieri, chiede di essere conosciuto perché tuttora è largamente ignoto. Io personalmente nella veste di presidente di una commissione bicamerale d’inchiesta del Parlamento della Repubblica italiana sono andato nel 2006 a Budapest per una missione internazionale, nel corso della quale ho raccolto insieme agli altri membri della commissione le informazioni del procuratore generale di quel paese magiaro secondo cui gran parte dei brigatisti Rossi italiani avevano vissuto e operato a Budapest agli ordini del terrorista venezuelano Carlos, oggi all’ ergastolo nelle carceri francesi.

La magistratura ungherese non fu in grado tecnicamente di concederci documenti che ricadevano nella giurisdizione dell’attuale governo russo, ma la cosa che a mio parere grida vendetta è che nessun magistrato, pur trovandosi in presenza di eventi documentati, abbia mai preso l’iniziativa di sapere come andarono le cose nel rapimento Moro, viste dalla tana dei fuggiaschi delle BR. Tra gli arrestati c’è Giorgio Pietrostefani che faceva parte del gruppo di Lotta Continua a cui è stato attribuito il delitto veramente infame e spietato del commissario di polizia Luigi Calabresi, assassinato in strada davanti ai figli che stava per accompagnare a scuola.

Calabresi era stato l’oggetto di una campagna di stampa forsennata guidata da Lotta Continua in cui fior di intellettuali per non dire tutti gli intellettuali a cominciare da Umberto Eco e fino a Norberto Bobbio, per non dire i giornalisti di grido dell’epoca firmarono allora un manifesto proclama che assegnava a Luigi Calabresi la patente di torturatore. Il fatto si riferiva alla morte dell’anarchico Piero Pinelli, fermato all’ indomani della strage del 12 dicembre in piazza Fontana a Milano, il quale pensando che i suoi compagni anarchici del ponte della Ghisolfa fossero coinvolti nell’attentato, si gettò per disperazione dalla finestra.

La verità completa non si è mai saputa, salvo un dettaglio: e cioè che il commissario Luigi Calabresi non era presente quando l’anarchico Pinelli volò dalla finestra della questura. Ma Calabresi fu assassinato e i suoi presunti assassini, accusati dal pentito Marino, furono condannati. In Italia, la condanna di Adriano Sofri come istigatore suscitò un aspro dibattito.

Tuttavia, le condanne furono espresse da un tribunale della Repubblica e per quello che riguarda Giorgio Pietrostefani, ancora la sentenza non era stata applicata a uno dei presunti responsabili. Tira aria nuova dicevamo all’inizio perché evidentemente è stato dichiarato estinto o non più usabile quel tipo di clima intimidatorio che i radical chic parigini hanno sempre usato nei confronti dei governi italiani, anche quando erano guidati dalle sinistre, proteggendo qualsiasi rapinatore o terrorista cercasse asilo sulle rive della Senna. A loro si applicava una cosiddetta “linea Mitterrand” che consisteva nell’autorizzare la concessione dell’asilo coloro che non si fossero macchiati di delitti di sangue. In realtà, la “linea Mitterrand” era poi applicata a tutti.

Le persone che sono state ieri rese disponibili per la giustizia italiana sono tutte accusate e condannate per fatti di sangue e dunque non avrebbero mai dovuto godere di alcuna protezione neanche in Francia, neanche seguendo la morbida linea del presidente Francois Mitterrand. C’è stato un cambio di linea vistoso, perché la Francia ha rinunciato ad uno dei suoi specialissimi diritti che applica fin dai tempi della rivoluzione, quando a partire dalla dittatura di Robespierre la Repubblica francese e poi l’impero e poi la monarchia e poi di nuovo l’impero e poi di nuovo la Repubblica, pratica sempre a sua discrezione: la libertà di mantenere le porte aperte per chi voleva rifugiarsi in Francia e magari andare a rimpinguare le file dei suoi eserciti e della legione straniera. Questo è sempre stato un vezzo francese, uno dei molti motivi per cui la Francia ha marcato la propria diversità.

In questo momento la Francia sta vivendo una crisi che in un altro paese europeo sarebbe impensabile: molti generali francesi stanno minacciando il governo e il presidente Macron di insurrezione militare perché dicono di sentirsi minacciati dalla jihad, dai movimenti terroristici islamici a causa dell’impegno militare francese nell’Africa occidentale in tutti i paesi che facevano parte del suo impero e ne fanno ancora parte sia pure in maniera truccata. La Francia quindi ha dei problemi suoi di grande piccola potenza europea ed africana, ha una politica estera che non coincide con quella europea, così come molti altri fattori identitari e militari che la rendono sdegnosamente unica.

Concedendo all’Italia ciò che ha concesso, la Francia ha rinunciato a un frammento di questa sua sovranità. Lo ha fatto attraverso parole d’ufficio come quelle usate dal presidente Macron quando ha detto che la liberazione, anzi, la consegna dei detenuti italiani alle autorità della nostra Repubblica costituiva semplicemente uno sviluppo delle buone relazioni fra i due paesi per la comune lotta contro il terrorismo. Così si chiude il primo capitolo di una nuova storia e speriamo che presto si scrive il secondo capitolo: quello in cui gli uomini e le donne che finora hanno vissuto tranquillamente in un paese che li ospitava, vedendo aprirsi la porta delle patrie galere possono avere finalmente la tentazione, e l’interesse di vuotare il sacco.


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