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Jean Pierre Mustier

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Andrea Martini, analista di Mediobanca Securities, in uno studio pubblicato nei mesi scorsi ipotizzava il matrimonio fra Bnp-Paribas e Unicredit. Nascerebbe un colosso da 2.800 miliardi di capitale con una forte presenza in Italia, Francia e nelle nuove economie dell’Est europeo. Non è chiaro se l’analista esprimeva una convinzione personale oppure una precisa indicazione strategica tenuto conto che il gruppo parigino già oggi ha il pieno controllo di Bnl. Come escludere il desiderio di crescere ancora in un Paese, come l’Italia, che vanta uno dei più alti bacini di risparmio esistenti al mondo? Il covid lo ha moltiplicato considerando che nei conti correnti ci sono 1.600 miliardi di euro di liquidità. All’incirca l’equivalente del Pil nazionale. Un piatto ricchissimo su cui sono in tanti a voler mettere le mani.

Le dimissioni di Jean Pierre Mustier da Unicredit hanno restituito attualità a questa analisi visto che il futuro del secondo gruppo creditizio italiano deve essere riscritto. L’istituto finirà in mani francesi? Come escluderlo, anche se prima bisognerà attraversare alcuni passaggi intermedi. Una cosa, però, è certa. Il capitale francese ha grande interesse nei confronti del sistema finanziario italiano. Da una statistica pubblicata sul Corriere della Sera emerge che dal 2007 a settembre 2020 l’obiettivo principale delle acquisizioni fatte dai cugini d’oltralpe nel nostro Paese sono state banche, assicurazioni, fondi d’investimento: complessivamente 32 operazioni per un totale di 17,1 miliardi. L’inverso non esiste: le acquisizioni in Francia di intermediari italiani sono appena tre per un ammontare di soli 300 milioni. Lo squilibrio si è accentuato negli ultimi giorni con il passaggio di Piazza Affari al consorzio Euronext che ha sede a Parigi e l’opa lanciata dal Credit Agricole sul Credito Valtellinese.

Ora tocca a Unicredit su cui si stanno intrecciando diverse partite. Innanzitutto il possibile intervento di Bnp Paribas o di qualche altro gruppo francese. C’è poi la combinazione con Mps cui il governo tiene molto (soprattutto la componente Pd) e infine la scissione del gruppo con la costituzione di una holding estera con sede a Francoforte. Qualunque sia il finale di partita una cosa è assodata: il disegno di Alessandro Profumo che voleva fare di Unicredit una pubblic company europea nel campo creditizio è fallito. Il sistema non ha mai funzionato tanto è vero che la banca in dieci anni ha bruciato tre amministratori delegati (lo stesso Profumo, Ghizzoni e ora Mustier). Tutti licenziati in tronco quando non sono più stati in grado di assicurare un adeguato rendimento. Viceversa ai soci sono stati richiesti sforzi enormi come l’aumento di capitale di 13 miliardi di tre anni fa. La più grande operazione mai varata a Piazza Affari.

Ora il pallino vero è in mano ad Alessandro Rivera, potentissimo direttore generale del ministero dell’Economia che ha il compito di sistemare la partita Mps facendo uscire lo Stato azionista al 68%. Unicredit è rimasto l’unico porto possibile. Carlo Messina ha capito in anticipo l’aria che tira e ha accelerato la marcia di Intesa su Ubi. Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol, e quindi principale azionista di Bper ha annunciato le nozze con Bpm il cui amministratore delegato Giuseppe Castagna si è premurato di accogliere.

Unicredit dovrà accollarsi Mps. Non a caso il titolo, in due giorni, ha reso i suoi azionisti più poveri di 2,5 miliardi (il titolo ha perso il 13%). Conclusa questa operazione potrà anche fare la scissione mandando la polpa all’estero. Non sarebbe nemmeno una sorpresa. Come ricorda il Copasir l’istituto milanese ha assunto negli ultimi anni alcune iniziative apparentemente volte ad affrancare la banca dall’Italia. Da qui la cessione di alcuni «gioielli italiani», quali Fineco e Pioneer, e la vendita della storica partecipazione in Mediobanca. Senza contare la riduzione del portafoglio di Btp che, dal 2016 ad oggi, è diminuito di circa 11 miliardi di euro.

«Al riguardo – conclude il Copasir – negli ultimi mesi si sono susseguite preoccupanti notizie su possibili fusioni con l’istituto tedesco Commerzbank (2), ovvero le banche francesi Crédit Agricole e Société Générale».


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