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Trasformare la vicenda di Ilaria Salis in un caso politico non è la scelta migliore per svariati motivi, eccone alcuni


Anche se non condivido la posizione politica di Ilaria Salis e considero aberranti quegli ideali a cui – come ricorda sempre il padre – è molto legata, non si può non provare un sentimento di solidarietà umana verso una giovane donna che si trova in condizioni di disagio e che aspetta da più di un anno quel giusto processo a cui avrebbe diritto. È comunque intollerabile l’ipocrisia di quanti – in Italia – denunciano il trattamento riservato alla signora Salis (io non la chiamo Ilaria perché non la conosco) durante la sua detenzione e il suo trasporto in trasferimento in tribunale.

Come se le nostre carceri fossero agriturismi e i carcerati di reati gravi raggiungessero l’aula avvalendosi dell’auto blu. Anche da noi, le guardie carcerarie fanno uso delle manette che vengono tolte al momento di essere fatto accomodare nella gabbia da dove gli imputati in regime di custodia cautelare assistono al loro processo. L’indignazione pelosa che si è sprecata sui teleschermi italiani ha finito per mettere in evidenza che, a livello internazionale, le condizioni di vita nelle nostre carceri è ritenuta peggiore di quella a cui sono sottoposti i reclusi in Ungheria, tanto che il nostro Paese ha accumulato un numero maggiore di sanzioni (anche per l’accusa di tortura) di quelle ascritte al sistema magiaro.

Nelle stesse giornate in cui veniva esibito il trattamento manettaro riservato a Ilaria Salis, in Italia veniva liberato dopo 32 anni trascorsi in un penitenziario un povero pastore sardo colpevole di innocenza. Queste precisazioni rispondono ad un’esigenza di onestà intellettuale che non deve essere condizionata a motivazioni politiche e strumentali sull’establishment ungherese: chi scrive è critico nei confronti di Victor Orbàn ‘’su tutta la linea’’: in particolare per la sua posizione sui migranti (che tuttavia non gli ha impedito una generosa accoglienza dei profughi ucraini), per l’ostilità nei confronti delle istituzioni europee e soprattutto per la sua ‘’amicizia’’ per Putin che è certamente più inquietante di quella per Giorgia Meloni.

Tutto ciò premesso non sono d’accordo su come viene gestita da noi questa incresciosa vicenda che è diventata un caso per il concorso di due circostanze: che l’arresto sia avvenuto in Ungheria e che in Italia vi sia un governo presieduto da Giorgia Meloni. Pare che in giro nelle carceri del Pianeta, in tutti i continenti, siano ospitati circa 2.600 cittadini italiani, molti dei quali nei Paesi europei. Di questi si occupano – a quanto si dice – le nostre ambasciate; ma non risulta che vi siano state pressanti richieste di intervento del governo per ciascuno di questi casi. Nei confronti della nostra concittadina detenuta a Budapest è in corso, a sinistra, un processo di beatificazione, come se i fatti di cui è accusata fossero opere meritorie o esuberanze giovanili.

Un tempo si diceva che uccidere un fascista non è reato. Figuriamoci, allora, se è il caso di prendersela tanto – come fa la magistratura ungherese – per qualche colpo di manganello inferto da una donna accusata di essersi recata in trasferta, apposta, a Budapest per usarlo contro dei presunti neonazisti. Ovviamente noi la consideriamo innocente fino a quando non sarà provata la sua colpevolezza. E’ un atteggiamento diverso di quello di coloro che – da noi – l’hanno già assolta a prescindere. La narrazione prevalente nel nostro Paese, quando non arriva – come è successo in diretta – ad affermare che è giusto usare il martello sulla testa dei presunti neonazisti – si sottolinea comunque la limitatezza del reato a fronte del rilievo che potrebbe assumere la pena. Facendo finta di dimenticare che – a torto o ragione – l’accusa più importante che la magistratura ungherese rivolge a Ilaria Salis è quella di appartenere ad un’organizzazione terroristica.

Paradossalmente si sta verificando l’esatto contrario di quanto è accaduto con gli italiani accusati (e condannati) per terrorismo, durante gli anni di piombo che avevano trovato rifugio all’estero (soprattutto in Francia protetti dalla dottrina Mitterrand). Le nostre autorità hanno chiesto per anni un’estradizione (non tutti i terroristi avevano avuto condanne per reati di sangue) che veniva negata con motivazione analoghe a quelle del giudice di Milano che ha respinto la richiesta delle autorità magiare per il compagno di Ilaria Salis che è riuscito a rientrare in Italia. In verità, la nostra concittadina si sarà accorta di quanta saggezza c’è nel proverbio popolare: ‘’Dagli amici mi guardi Dio che dai nemici mi guardo io’’.

A metterla ancor più nei guai sono proprio coloro che ne hanno voluto fare un caso politico: una linea di condotta che nel corso delle settimane ha coinvolto anche il padre Roberto. Non è stato solo il portavoce del governo ungherese a segnalare che i casi politici sono armi a doppio taglio. Se in Italia si accaniscono ad accusare le autorità (giudiziarie) di un altro Paese, mettendo in discussione l’esistenza di uno stato di diritto davanti all’opinione pubblica europea e internazionale (è quanto è accaduto nel caso di cui parliamo) è normale che vi siano ritorsioni. Il governo Orbàn è sotto inchiesta con l’accusa di violare l’indipendenza della magistratura; e noi pretendiamo che lo ammetta nel caso Salis, perché ci fa comodo.

Persino Giuseppe Conte ha criticato il Pd per l’agitazionismo esercitato nella vicenda, nonostante che tutti raccomandassero prudenza e diplomazia e invitassero a non prendere di petto la magistratura ungherese. In sostanza, è sempre più evidente il cinismo del gruppo dirigente del Pd. Per mettere in difficoltà Giorgia Meloni (che potrebbe fare – dicono – ma non vuole) di fronte all’opinione pubblica si è gettato nella mischia della propaganda elettorale il destino di Ilaria Salis. Come se non bastasse, aver messo in circolazione addirittura l’ipotesi di una candidatura al Parlamento europeo ha finito per esasperare ancor più il confronto in atto.

È un momento particolare per il Pd: non ne azzecca una: si pensi alla vicenda di Bari e al senso di quella manifestazione popolare contro il governo perché il ministro Piantedosi ha valuto inviare gli ispettori per indagare sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nell’amministrazione comunale. Con tutto quello che è successo dopo, sarebbe buona creanza scusarsi con il ministro Piantedosi per le critiche che gli furono rivolte in Parlamento.


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