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Il tribunale di Arezzo ha assolto con formula piena perché “il fatto non sussiste” i 14 imputati (tra cui Pier Luigi Boschi) andati a processo per il crac di Banca Etruria, l’istituto di credito aretino fallito dopo la messa in risoluzione con il decreto salvabanche del 22 novembre 2015, nell’ambito del filone di indagine sulle cosiddette consulenze d’oro.

La sentenza è stata emessa oggi dal giudice Ada Grignani dopo una breve camera di consiglio, durata poco più di un’ora. L’udienza di questa mattina si è aperta con le uniche repliche dell’avvocato di parte civile Lorenza Calvanese. Presenti in aula anche due ex risparmiatori, Angelo Caramazza e Paola Cerini, ed un solo imputato, Luciano Nataloni.

La procura aveva chiesto per il reato di bancarotta semplice condanne dagli otto mesi a un anno nei confronti degli ex consiglieri del consiglio di amministrazione ed ex dirigenti dell’istituto di credito aretino. Alla lettura della sentenza era presente il procuratore capo Roberto Rossi.

«Le sentenze si rispettano e non si commentano. Aspettiamo di leggere le motivazioni e poi valuteremo il da farsi», ha detto il magistrato non escludendo così l’intenzione di proporre appello contro l’assoluzione. Durante il processo le parti civili, che rappresentavano i risparmiatori truffati, avevano sostenuto le richieste del pubblico ministero, mentre gli avvocati difensori hanno chiesto l’assoluzione.

Tra i 14 imputati assolti spiccava Pier Luigi Boschi, all’epoca vice presidente di Banca Etruria, padre della ex ministra del governo Renzi Maria Elena, attuale capogruppo di Italia Viva alla Camera, per il quale il sostituto procuratore Angela Masiello durante la requisitoria aveva chiesto la condanna a 12 mesi, così come per Luciano Nataloni, Claudia Bugno e Luigi Nannipieri. Per le altre posizioni erano stati chiesti otto mesi per Daniele Cabiati, Carlo Catanossi, Emanuele Cuccaro; nove mesi per Alessandro Benocci, Claudia Bonollo, Anna Nocentini Lapini, Giovanni Grazzini, Alessandro Liberatori e Ilaria Tosti; dieci mesi per Claudio Salini.

Sentenza Banca Etruria, Maria Elena Boschi: «Ho pianto»

Maria Elena Boschi

«Oggi ho pianto. Avevo giurato a me stessa che non avrei mai pianto per Banca Etruria. Oggi l’ho fatto. E non ho paura di ammetterlo in pubblico. Ho pianto come una bambina, in ufficio, alla Camera. Ho pianto perché mio padre è stato assolto dall’ultima accusa che gli veniva mossa su Banca Etruria. Con oggi si chiude un calvario lungo sette anni. E si chiude nell’unico modo possibile: con la certezza che mio padre era innocente».

Questo il commento di Maria Elena Boschi su Facebook in relazione alla sentenza di assoluzione del padre Pier Luigi. «La verità giudiziaria non cambia niente per me: ho sempre saputo che mio padre è stato attaccato sui media e non solo per colpire altri. Ma oggi la verità giudiziaria stabilisce ciò che io ho sempre saputo nel mio cuore: mio padre è innocente. E ora lo sanno tutti, non solo la sua famiglia. Lo sa il popolo italiano, nel cui nome la sentenza è stata pronunciata. Lo sanno le Istituzioni di questo Paese che io ho servito con dignità e onore. Lo sanno gli avversari politici che mi hanno chiesto le dimissioni per reati che mio padre non aveva fatto. Lo sanno i talk che hanno fatto intere trasmissioni contro di me e di noi e che non dedicheranno spazio a questa vicenda», aggiunge.

Le consulenze nel mirino del processo Banca Etruria

Le consulenze finite nel mirino del pool di pm istituito dalla procura diretta dal procuratore Rossi erano quelle che vennero affidate per valutare, analizzare e poi avviare il processo di fusione di Banca Etruria con un istituto di elevato standing.

Le autorità bancarie, infatti, avevano richiesto di approfondire la possibilità di una fusione con la Banca Popolare di Vicenza, operazione che poi non si concretizzò. Per sondare la prospettiva di tale fusione, però, stando agli elementi raccolti durante le indagini, furono affidati incarichi per circa 4 milioni e mezzo di euro, in un arco temporale compreso tra il giugno e l’ottobre 2014, a grandi società, come Medio banca , o conosciuti studi legali di Roma, Milano e Torino.

Secondo l’accusa definita dal pool di pm istituito dal procuratore Rossi, fu tenuta una condotta imprudente, con i vertici della banca che non avrebbero vigilato sulla redazione di quelle consulenze , ritenute dagli inquirenti in gran parte “inutili” e “ripetitive”.


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