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Si riduce il peso del Ponte sullo Stretto di Messina per il bilancio dello Stato, che resta “titolare” della quota maggiore dell’investimento previsto, “chiamando” il Fondo per lo sviluppo e la coesione a partecipare alla costruzione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. Approda a metà pomeriggio in Commissione Bilancio – in ritardo sui tempi annunciati e tra le proteste dei partiti di minoranza -l’emendamento del governo (il quarto e ultimo) in tema di investimenti in infrastrutture che, tra le altre cose, rimodula le fonti di finanziamento dell’opera.

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Le modifiche introdotte all’artico 56 confermano l’investimento complessivo di 11.630 milioni, ma la spesa a carico dello Stato ammonta ora a 9.312 milioni – si parte con 607 milioni nel 2024 e si chiude con 260 nel 2032 – . Per gli altri 2.312 si ricorre all’Fsc targato 2021-2027: 718 milioni arrivano dalla quota nella disponibilità delle amministrazioni centrali e dei ministeri, 1.600 sono parte della dote destinata alle Regioni Sicilia e Calabria.

Le opposizioni partono all’attacco. In prima linea il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, Angelo Bonelli, ad evocare «un golpe contro il Sud per finanziare le follie di Salvini». Punta il dito contro il governo anche la vicepresidente del Pd, Beatrice Lorenzin: già «buona parte dei progetti del Pnrr sono stati spostati sul Fondo di Coesione e sviluppo – afferma – ci chiediamo cosa rimane nel fondo stesso e degli obiettivi da raggiungere? Il governo Meloni continua un inaccettabile gioco delle tre carte con i progetti e con i relativi stanziamenti che chissà dove condurrà il Paese».

Nel dettaglio, il provvedimento prevede che gli accordi di coesione che verranno stipulati dalle due Regioni con il ministro degli Affari Europei, Sud, e Pnrr dovranno dare “evidenza degli importi annuali a destinazione delle risorse alla realizzazione dell’intervento, a concorrenza integrale degli importi annuali individuati. Entro il 30 giugno di ogni anno, e fino all’entrata in esercizio dell’opera, “il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti presenta informativa al Cipess sulle iniziative intraprese ai fini del reperimento di ulteriori risorse a copertura dei costi di realizzazione dell’opera. Con apposite delibere, su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con il Ministero dell’economia e finanze, il Cipess attesta la sussistenza delle ulteriori risorse”, determinando conseguentemente “la corrispondente riduzione in via prioritaria dell’autorizzazione di spesa e la relativa articolazione annuale”.

Nel pacchetto di interventi sulle infrastrutture affidato all’emendamento ci sono anche, tra gli altri, 600 milioni per i contratti di sviluppo nel settore industriale; 15 milioni per il territorio di Caivano, “a favore di una nuova area di crisi industriale”; 475 milioni – dal 2024 al 2027 – per potenziare gli interventi del gruppo Ferrovie dello Stato cofinanziati dal Pnrr, che portano da 350 a 825 milioni la spesa complessiva autorizzata nel ddl Bilancio; fondi per interventi sulla Ferrovia Centrale Umbra (100 milioni), il potenziamento del porto di Civitavecchia (19,5 milioni), per il ripristino della viabilità tra le province di Chieti ed Isernia (15,5 milioni); per il piano di espansione del Politecnico di Milano nell’area “Goccia” della Bovisa (35 milioni).

Una giornata complessa quella di ieri nel cantiere della manovra, tra lo stop and go dei lavori in Commissione in Commissione Bilancio tra proteste e abbandono d’aula da parte delle opposizioni che denunciano lo stallo per i ritardi nella presentazione dell’atteso ultimo emendamento del governo – poi arrivato a metà pomeriggio – e di quelli dei relatori annunciati per la serata: sei pacchetti, fanno sapere in serata fonti parlamentari, per un totale di 30-40 misure. Per Daniele Manca, capogruppo del Pd in Commissione Bilancio, di fatto «reintroducono proprio quello che la maggioranza non aveva presentato, cioè gli emendamenti». «Maggioranza e governo sono nel caos e chi ci rimette è il Paese», sentenzia.

Certo dai soci di maggioranza è arrivato un contributo alla costruzione di questa immagine: sul Superbonus i partiti si ritrovano in trincea su fronti opposti, tra Forza Italia in pressing per una proroga, il veto via nota stampa del Mef, e le prove di equilibrismo del ministro Fdi Luca Ciriani che invoca «accortezza». Intanto la premier Giorgia Meloni rimarca l’impatto devastante sui conti pubblici: «Pesa come un macigno», dice durante le comunicazioni al Parlamento in vista del Consiglio europeo. A chiudere la partita è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: la manovra «è seria, frutto di una politica di bilancio seria, come ha detto la presidente del Consiglio. Quindi niente proroga del Superbonus». Parole definitive. A Forza Italia non resta che confidare nel Milleproroghe: «Secondo me è una cosa che va fatta, continueremo a parlarne, c’è anche il Milleproroghe».

Alla premier il compito di serrare i ranghi e stringere i tempi. È importante fare presto nel rispetto delle prerogative del Parlamento, sottolinea, si apprende, durante la riunione sulla legge di Bilancio con i capigruppo di maggioranza alla Camera, in cui si cerca di definire metodo e calendario dei lavori. Si considera «realistico» il via libera definitivo della Camera entro il 29 dicembre. Due le ipotesi esaminate: una per concludere i lavori prima di Natale, se il Senato dà l’ok entro il 19; l’altra è arrivare in commissione alla Camera prima del 25 e chiudere tra 27 e 30.


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