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Per Silvio Berlusconi, quello di ieri a Napoli è il giorno della rettifica. La convention di Forza Italia alla Mostra d’Oltremare è l’occasione per rimettersi in carreggiata: il centro-destra “deve tornare ad avere una forte connotazione liberale, cristiana, garantista europeista ed atlantista”, dice il Cav. Ma venerdì il leader di Forza Italia ne aveva sparate di grosse. La prima: “inviare le armi significa essere cobelligeranti”.

La seconda: “Per portare Putin al tavolo delle trattative non bisogna fare le dichiarazioni che sento da tutte le parti, dalla Gran Bretagna alla Nato”. La terza, la più clamorosa di tutte: “L’Ue deve convincere l’Ucraina ad accogliere le domande della Russia”. Nella scala del populismo italiano, siamo perfino oltre Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Nessuno di loro si era ancora spinto così in là, chiedendo al governo di Kiev la resa incondizionata in un modo tanto esplicito. Ma, si sa, al Cavaliere è tutto concesso. La storia si ripete. Spararla grossa, fiutando e amplificando l’umore del popolo, salvo poi ritrattare con l’aria dello gnorri: “ma chi l’ha detto, io?”.

La scenetta va in onda ieri dal palco della Convention azzurra dove Berlusconi, insieme, rivendica il sostegno alle forze armate italiane impegnate all’estero nelle missioni di pace, condivide l’appello di Papa Francesco a fare ogni sforzo per giungere alla pace, ribadisce che l’Ucraina “è il paese aggredito e noi dobbiamo aiutarlo a difendersi”, giura che “Forza Italia è – e rimarrà sempre – dalla parte dell’Europa, dell’Alleanza Atlantica, dell’Occidente, degli Stati Uniti”. Dal Cav arrivano perfino alcuni pensieri sensati sul futuro dell’Europa come la necessità di una difesa comune europea. Anche perché, chiarisce, “l’Europa non conta niente nel mondo”. Giudizio un po’ severo, ma fondato obiettivamente sulla rinuncia dei paesi membri a prendere sul serio la propria difesa lasciando sempre il lavoro sporco agli Stati Uniti, salvo poi rivendicare una impossibile autonomia.

Tutto risolto? Non proprio. Le relazioni pericolose tra Berlusconi e Putin sono ben note in Europa. E questo è l’unico caso di un leader europeo – ex premier italiano e capo di un partito membro del Ppe – che ha la spudoratezza di chiedere all’Ucraina di piegarsi alle volontà di un tiranno sanguinario. Il motivo è chiaro. La campagna elettorale è già cominciata. Forza Italia deve pescare in un elettorato – comune a quello della Lega – che vive la guerra come una scocciatura, perché ostacola la ripresa dell’economia e pesa sui rincari dell’energia. Danneggiando le imprese (che speravano di tornare a respirare dopo la pandemia) e le famiglie (che perdono sempre più potere di acquisto).

Si crede così che la soluzione più facile e immediata per porre fine al conflitto sia la rapida resa del governo di Kiev. Ma la convinzione è fallace nel lungo periodo: un’Europa insicura sotto il giogo di Putin non garantisce affatto le condizioni di sicurezza e libertà necessarie per garantire lo sviluppo delle imprese e il benessere delle famiglie. Come disse Albert Einstein, “il mondo non sarà distrutto dai malvagi, ma da coloro che restano a guardarli senza fare niente”. Ma se si voltano le spalle all’Ucraina, la collocazione atlantista ed europeista proclamata ieri dal Cav con alti picchi di pathos, perfino riesumando le bandiere dell’anticomunismo, resta scritta sulla sabbia. Infine, associare la postura del “pacifismo mannaro” (cioè lo scambio tra l’“essere lasciati in pace” e la schiavitù dell’Ucraina) alla fisionomia di un moderno partito degasperiano è un corto circuito logico.

Il populismo lassista sta al liberalismo atlantico come lo spaghetti-western di serie B sta all’epopea western originale. Se Berlusconi vuole ancora rivendere Forza Italia come un partito liberale e atlantista dovrebbe cambiare quasi tutto, riconoscendo che l’investimento su Vladimir Putin è stato uno dei suoi più grandi errori politici. Ma dopo quasi trent’anni di attesa non ci credono più neanche molti dei suoi.


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